Il mondo del calcio e dello sport piange da due giorni Davide Astori, il capitano della Fiorentina, morto mentre si trovava in un hotel a Udine, dove domenica 4 marzo 2018 avrebbe dovuto disputare una partita di campionato contro l’Udinese.
L’autopsia disposta per Astori, che aveva appena 31 anni, descrive una “morte cardiaca senza evidenza macroscopica, verosimilmente su base bradiaritmica”. Una delle possibili cause della morte del calciatore è la sindrome di Brugada: cos’è? Lo abbiamo spiegato qui.
Secondo l’autopsia eseguita da Carlo Moreschi, docente di Medicina Legale presso l’università di Udine e Pordenone, da Gaetano Thiene al professore dell’Università di Padova e direttore del Centro di patologia vascolare con specifica competenza in materia, il cuore di Astori ha rallentato fino a fermarsi. All’esame ha assistito anche un consulente della famiglia Astori.
Si tratta quindi di una conferma di ciò che si sospettava, ovvero un arresto cardiocircolatorio avvenuto verosimilmente durante la notte. Ma stabilire le motivazioni per cui è avvenuto questo arresto non è così semplice.
Nei prossimi due mesi si cercherà di fare ulteriore chiarezza sulla morte del giocatore, relativamente alla quale lunedì 5 marzo la procura ha aperto un’indagine per omicidio colposo.
Entro i prossimi sessanta giorni saranno infatti svolte ulteriori analisi su eventuali cause genetiche che potrebbero aver portato alla morte di Astori.
Il dottor Vincenzo Castelli, medico e presidente della Fondazione Castelli, che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari e, in particolare, degli arresticardiocircolatori che colpiscono le persone che svolgono attività sportiva, ha spiegato a TPI quali possono essere le cause di questa morte improvvisa.
“Probabilmente la causa è da ricercare in questa malattia maligna che è la fibrillazione ventricolare”, ha detto il dottor Castelli. “Questa determina sostanzialmente l’arresto del cuore, anche se poi effettivamente così non è perlomeno nelle prime fasi, in cui il cuore si contrae ma lo fa in maniera non adeguata a pompare il sangue in circolo. Questo precede di qualche minuto l’arresto definitivo”.
“Le cause di queste aritmie sono molteplici”, specifica Castelli. “Le più frequenti sono quelle che riguardano ad esempio l’infarto miocardico, che però è in genere una patologia che insorge dopo i 35 anni. Al di sotto di questa età generalmente l’aritmia non è causata da un infarto ma da malattie congenite e da alterazioni della struttura elettrica del cuore”.
“Quando c’è l’infarto a essere colpito è il muscolo del cuore”, aggiunge il medico, “mentre quando c’è un’aritmia primitiva è il sistema elettrico del cuore che va in corto circuito. In questo secondo caso ci sono una serie di cause, sindromi e alterazioni, spesso di natura congenita”.
Ma come mai un’eventuale malattia congenita non viene scoperta nel caso di un giocatore di serie A, che dovrebbe essere monitorato e sottoposto a continui controlli da parte dei medici sportivi?
“Qui parliamo di ipotesi, perché non abbiamo nulla di certo in mano. Ma teniamo presente che ci sono delle forme di aritmia scarsamente evidenziabili, che magari la prima volta in cui si manifestano portano proprio all’arresto cardiaco”, dice Castelli. “I mezzi di indagine che noi abbiamo a disposizione potrebbero essere non sufficienti o inadeguati per quanto moderni. La medicina sportiva italiana da questo punto di vista è molto attenta”.
“Putroppo in medicina nulla è impossibile, non ci sono certezze di cura e di diagnosi, c’è sempre qualche buco nero. Anche se poi tutto quello che facciamo è sicuramente efficace per individuare la realtà di queste patologie eventualmente presenti. Ma poi ci può essere sempre una patologia che sfugge e che non viene diagnosticata, su questo cito ad esempio il caso Morosini. Lui era portatore di un’anomalia trasmessa geneticamente che determinava delle alterazioni strutturali del suo cuore, ma tutti i controlli che aveva fatto non l’avevano evidenziata, perché è molto difficile da scoprire”.
Esiste anche secondo il dottor Castelli una piccolissima quota di morti improvvise in cui non si riesce a scoprire la causa, probabilmente perché non abbiamo ancora i mezzi adatti a scoprirla.
Sebbene a fare notizia siano in genere i casi di decessi improvvisi di sportivi professionisti, la stragrande maggioranza di coloro che muoiono facendo attività sportiva, secondo i dati della Fondazione Castelli, appartiene alla categoria degli amatori.
Secondo il database della Fondazione, che è necessariamente parziale perché si basa su notizie di stampa (l’unica Regione ad avere registri ufficiali è il Veneto) dal 2006 su circa 1.300 casi di decessi di questo tipo, solo quattro hanno riguardato sportivi professionisti, incluso Astori. Circa l’85 per cento di questi decessi ha riguardato sportivi amatoriali, mentre il 15 per cento circa erano sportivi dilettanti.
La ragione del minor numero di professionisti coinvolti è dettata dal fatto da essi sono un numero inferiore di molto rispetto agli amatori, ma anche dal fatto che sono sottoposti a protocolli medici molto più approfonditi e ricorrenti, per cui risulta più facile individuare un’eventuale problematica.
“Per ridurre questi casi dobbiamo provare a intervenire sia attraverso la prevenzione primaria, vale a dire la visita medico-sportiva che tutti dovrebbero fare, sia attraverso la prevenzione secondaria, cioè l’essere pronti a intervenire nel caso in cui qualcuno dovesse avere un arresto cardiaco, con defibrillatori e personale addestrato al loro utilizzo”.
La Fondazione Castelli svolge formazione a titolo gratuito, e negli ultimi anni ha formato 12mila persone, la maggior parte delle quali non sono operatori sanitari. Ha donato inoltre circa 400 defibrillatori in Lazio, Umbria, Abruzzo e Sardegna.
“Il tempo utile per intervenire in caso di arresto cardiaco”, spiega il dottor Castelli, “è tra i quattro e i sei minuti. E per ogni minuto che passa c’è un dieci per cento di possibilità in meno di sopravvivenza”. L’obbligo di possedere dei fibrillatori è valido per tutte le strutture sportive, ma secondo il dottor Castelli è auspicabile che venga esteso a tutti i luoghi ad alta frequentazione, come stazioni, aeroporti, grandi teatri.
“Se la persona non è cosciente e non respira al 99 per cento è in arresto cardiaco”, spiega Castelli. “Questi sono i segnali da cogliere. Se succede mentre si è da soli o di notte, purtroppo non si hanno chances. Se Astori fosse stato male sul campo o nella hall dell’albergo forse avrebbe avuto qualche possibilità in più di farcela rispetto alla situazione in cui si è trovato”.