Era il 4 ottobre 1996 quando i cinema italiani proiettarono per la prima volta uno dei film più provocatori e allo stesso tempo esaltanti di sempre, ormai divenuto un simbolo del cinema anni Novanta: Trainspotting.
Il film, che raccontava la storia di un gruppo di giovani eroinomani scozzesi, fu uno dei più grandi successi dell’anno, lanciò la carriera di Ewan McGregor (interprete del protagonista Mark Renton), ed è rimasto per vent’anni nel cuore di molti cinefili, tanto che il British Film Institute lo ha inserito al decimo posto tra i migliori film britannici del XX secolo.
Proprio a dimostrazione della rilevanza ancora forte del film, nel 2015 è stato ufficialmente annunciato che entro il 2017 ne verrà prodotto un sequel con gli stessi protagonisti e lo stesso regista.
Il regista in questione è Danny Boyle, all’epoca un semi-esordiente, con l’eccezione del precedente Piccoli omicidi tra amici (1994), che con questa seconda fatica avrebbe guadagnato fama internazionale e si sarebbe avviato verso i successi futuri di 28 giorni dopo (2003), The Millionaire (2008) – che gli fruttò un Oscar come miglior regista – e il più recente Steve Jobs (2015).
La storia da cui prendeva spunto era invece di Irvine Welsh, lo scrittore scozzese che nel 1993 aveva pubblicato l’omonimo romanzo ambientandolo tra i giovani tossicodipendenti edimburghesi degli anni Ottanta, scioccando i lettori per lo stile frenetico e soprattutto per la descrizione senza moralismi delle abitudini dei suoi protagonisti.
Così come per il libro, anche per il film l’aspetto che più colpì il pubblico fu proprio il tono molto disinvolto, lontanissimo da alcuni drammi hollywoodiani, con cui veniva descritto il consumo di droghe pesanti, che veniva affrontato con l’occhio spregiudicato e amorale degli stessi tossicodipendenti.
Solo due anni prima, Pulp Fiction di Tarantino aveva portato una ventata di novità nel cinema mondiale, con uno stile fatto di violenza da fumetto, dialoghi esilaranti e personaggi memorabili. Ora era la cinematografia britannica, che negli anni Novanta vide poi una serie di grandi successi, che rispondeva al fuoco con qualcosa di altrettanto esilarante, ma in questo caso ancor più provocatorio, visto l’argomento trattato.
Già in passato alcuni film si erano spinti nel mondo della tossicodipendenza, ma si trattava spesso di drammi con un’impostazione pedagogica molto marcata.
Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1981) di Uli Edel, e l’italiano Amore tossico, cult del 1983 di Claudio Caligari, avevano invece saputo affrontare il tema con uno sguardo più freddo e addirittura comico, e si possono effettivamente considerare dei precursori, ma nessuno aveva osato dipingere l’eroina in modo così poco respingente, o gli eroinomani in modo così poco negativo.
In questo caso il protagonista aveva il volto ancora sconosciuto ma irresistibile di Ewan McGregor, che dopo il film avrebbe spiccato il grande salto verso la notorietà, interpretando in seguito film di stampo completamente diverso come Moulin Rouge e finendo addirittura per vestire i panni di Obi Wan-Kenobi nella seconda trilogia di Guerre stellari.
Il suo Mark Renton è uno degli “eroi” più amati del cinema anni Novanta, impossibile da odiare nonostante le sue azioni e il suo stile di vita siano lontanissimi da quello che solitamente un eroe del cinema dovrebbe rappresentare.
Divenne celebre già nel 1996, e con gli anni è diventato un cult da recitare a memoria, il suo monologo iniziale mentre fugge dalla polizia su Princes Street, a Edimburgo, e in cui confida agli spettatori la sua filosofia di vita anti-sistema:
Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?
La scena era punteggiata dalle note nervose di Lust For Life di Iggy Pop, e un montaggio frenetico presentava in sequenza i co-protagonisti della storia, tutti coinvolti nel giro della dipendenza da eroina del capoluogo scozzese: Sick Boy, Begbie, Spud e Tommy.
Il film ne seguiva le vicissitudini tra scene oniriche, che replicavano le sensazioni alterate dei personaggi sullo schermo (celebre il “tuffo” in una toilette di Renton) e dialoghi tarantiniani sulla carriera in discesa dell’eroe nazionale, Sean Connery, o sulla stessa appartenenza al popolo scozzese: È una merda essere scozzesi! Siamo il peggio del peggio, la feccia di questa cazzo di terra, i più disgraziati, miserabili, servili, patetici avanzi che siano mai stati cagati nella civiltà. Ci sono quelli che odiano gli inglesi, io no! Sono solo delle mezze seghe! D’altra parte noi siamo stati colonizzati da mezze seghe.
Non troviamo neanche una cultura decente da cui farci colonizzare.
Il film sarebbe stato presentato fuori concorso a Cannes nel maggio 1996, iniziando da lì la sua scalata alla popolarità internazionale, che fu sicuramente aiutata da una colonna sonora epocale, concentrato di classici del rock del passato come Perfect Day di Lou Reed, e pezzi che rappresentavano bene la musica del momento, come Born Slippy degli Underworld, destinata a risuonare nei club dell’epoca per molto tempo.
Nonostante tutti gli attacchi dovuti al suo stile apparentemente in grado di rendere glamour la tossicodipendenza, Trainspotting è tuttora un’opera cinematograficamente straordinaria, che ha saputo rappresentare il disagio di una generazione e di una nazione come pochi altri film hanno saputo fare prima e dopo.
L’argomento secondo cui gli spettatori non possano essere in grado di giudicare per loro conto le scelte discutibili dei protagonisti, e finire per emularne le gesta, fa parte di una teoria poco lusinghiera nei confronti del pubblico, che probabilmente sapeva e sa benissimo come distinguere tra fiction e realtà. In fondo, seppur smentito da gran parte del resto del film, Renton avvisava gli spettatori già dalla prima frase: “Scegliete la vita”.
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