The social dilemma. Un docu drama dalla durata di 90′ che intreccia perfettamente il racconto di ingegneri e programmatori della Silicon Valley con un mini-movie nel quale tutti, chi più e chi meno, ci siamo ritrovati: la storia di una famiglia che deve gestire le problematiche dei rapporti sociali, della nomofobia, dell’accettazione della realtà vivendo nell’ideale di perfezione digitale e quelle della distinzione tra il vero e il falso. Il tutto mentre siamo perseguitati dagli algoritmi delle tech companies.
Non è l’ennesima sterile polemica contro il mondo in rete e lo capiamo dai primi 30″: a parlarci sono personalità che hanno contribuito alla crescita delle aziende della Silicon Valley, degli insider usciti dal sistema. L’intreccio del racconto tra documentario e mini-movie fa si che ogni sentenza pronunciata dai testimoni, ogni accusa alle Company della Silicon Valley sia assolutamente vera perché corroborata dal mini-drama con tranches de vie in cui tutti noi ci riconosciamo.
Interessante, affascinante e avvolgente. Un contenuto realizzato alla perfezione e che mantiene l’attenzione degli utenti per 90′, sfruttando magistralmente le stesse regole di narrazione che rendono vincenti i contenuti sui social. Ci vengono spiegati il funzionamento e le dinamiche che portano i social media a catturare la nostra attenzione per manipolarci sempre più facilmente. Ci viene anche chiarito il tema legato al significato dei dati per le tech company e comprendiamo il “capitalismo della sorveglianza”, come lo definisce chiaramente Tristan Harris, che consiste nel raccogliere e monitorare dati sempre più dettagliati sugli utenti con l’obiettivo di dare a chi investe sulle piattaforme una garanzia vicina al 100% che le inserzioni pubblicitarie avranno successo.
Ascoltiamo aneddoti e scopriamo curiosità sul dietro le quinte dei social media, ma il messaggio è chiaro, costante e lineare: cancellate subito gli account social. È difficile farlo, ma è l’unica soluzione per la libertà. I benefici che i protagonisti attribuiscono alla tecnologia, ponendola come migliorativa, servono solamente da liquido di contrasto per comunicare meglio la nocività dei Social Media.
Su cosa fa leva #TheSocialDilemma per coinvolgere far parlare di sé? Sicuramente sulla paura, sull’incertezza e sui disagi (relazionali, di personalità e sociali) che la potenza della tecnologia ha generato. Fa paura sapere che il mondo della rete ci conosce meglio di quanto facciamo noi, sapere che ricorda ogni nostra azione e per ognuna ha una reazione mirata a “venderci” al miglior offerente. Ma noi questo già lo sappiamo, sono anni che interpretiamo la parola algoritmo come sinonimo di nemico manipolatore e le grandi aziende tech come il Leviatano dei giorni nostri. Ma se già lo sappiamo, perché The Social Dilemma ci ha colpiti così tanto? Questo documentario non si pone come una chiacchiera da bar o da cena con gli amici, ma come la testimonianza di chi ha lavorato e, in alcuni casi, fondato ciò che sta portando la nostra società a una fine catastrofica; è il messaggio di chi abbandona il male e vuole essere il capitano della squadra del bene.
Già, è una lotta tra bene e male dove i paladini sono coloro che hanno conosciuto da dentro il nemico e vogliono svegliare la società da questo Matrix per annientare chi vuole distruggerla. Il documentario potrebbe tranquillamente avere come tema 1984 di George Orwell, dove gli insider delle Tech Company sono Winston e Julia, il mondo è diviso nelle 3 grandi potenze della Silicon Valley e tutti siamo schiavi di questa dittatura che in un primo momento ci attrae, poi gioca con i nostri sentimenti e -infine- ci manipola proprio come farebbe un burattinaio con i propri burattini. Lo svolgimento e la conclusione della storia (1984) li conoscete, ma non ho usato a caso il parallelismo tra gli insider e Winston e Julia.
Sfido chiunque a dire che il documentario The Social Dilemma dica bugie o, complicando la sfida, a dimostrare il contrario di quanto raccontato. Fino all’ultimo secondo si percepisce un senso di frustrazione tipico della consapevolezza inetta: sai qual è la soluzione al problema, ma non riesci ad applicarla per risolverlo.
Ma qual è la soluzione? Ci dobbiamo cancellare dai Social Media? O ci dobbiamo fidare di Tristan Harris e seguirlo sui social media per combattere i social media? Non trovo risposte a queste domande, non ho ancora (forse mai avrò) dati sufficienti per comprendere l’effetto di questo documentario sulle coscienze delle persone, ma riporto quelli che ho reperito: The Social Dilemma è presente su Instagram, Facebook, Twitter, ha un sito web e raccoglie i nostri dati per inviare newsletter. Dal 9 settembre 2020 a oggi ha ottenuto il seguito di 32K utenti sui tre social, dei quali 25K in questo weekend. Sorte analoga, anche se di portata minore, per Center for Humane Technology, l’azienda di Tristan Harris.
La call to action “Follow us on social media”, seguita da “Just Kidding.” al termine del documentario è stata casuale? Chiedo direttamente a ognuno dei lettori di questo articolo che hanno visto TSD se, al termine del documentario, sono andati a cercare maggiori info sui social media. Se la risposta è sì, loro già lo sapevano. Se questo documentario mette a nudo un problema e offre una soluzione, d’altra parte lascia spazio a dubbi leciti sull’etica che muove questo contenuto. The Social Dilemma si è tradito.
Il problema affrontato dal documentario risiede nella volontà delle tech company di manipolare l’opinione pubblica. Vero, senza dubbio, ma siamo nuovi a questo problema? In ogni periodo storico della nostra civiltà c’è stato un nemico da combattere e, nel più dei casi, la sua caratteristica principale è stata la volontà di manipolare per lucro o potere, o per entrambi. La nostra civiltà è fondata sulla manipolazione, la nostra cultura letteraria lo è; dalla civiltà greca a oggi l’utilizzo della lingua prima, della scrittura poi e infine dei contenuti multimediali ha sempre avuto un fondo manipolatorio: piegare la volontà di un altro individuo alla propria.
La manipolazione di oggi non si combatte spegnendo i dispositivi elettronici, ma con l’istruzione che porta ad acquisire una consapevolezza critica. Per farlo non è sufficiente il Center For Human Technology di Tristan Harris, anzi, piuttosto è necessario rafforzare l’istruzione in ogni angolo del mondo affinché i cittadini acquisiscano spirito critico e siano in grado di scegliere consapevolmente dove cliccare, cercando sempre il contrasto con l’opinione opposta.
Finché avremo la barra di ricerca, avremo anche la possibilità di cercare l’opposto rispetto a quanto abbiamo appena letto o visto. Avremo la possibilità di leggere, fermarci e chiederci “È necessario che io compia questa azione?”
Semplicistica come soluzione, vero, ma il web è uno strumento potentissimo che ci ha cambiato radicalmente la vita, in positivo per la maggior parte degli aspetti. Siamo all’inizio, dobbiamo ancora imparare a starci dentro e farlo da esseri umani, facendo valere la razionalità che ci rende tali. Credete davvero che uscirne sia la soluzione?
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