Paolo Borsellino I 57 giorni, di cosa parla il film in onore del giudice ucciso dalla mafia: la trama
Il 19 luglio del 1992 a Palermo moriva il giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio insieme agli uomini della sua scorta: oggi, nel giorno del 27esimo anniversario dalla sua morte, Rai 1 ricorda il magistrato con il film I 57 giorni, la cui trama racconta tutto quello che successe tra la morte dell’amico e collega Giovanni Falcone e quella di Borsellino stesso.
Furono infatti 57 i giorni che separarono il 23 maggio 1992 – data della strage di Capaci che vide la morte di Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della sua scorta – e l’attentato di via D’Amelio. Poco meno di due mesi, nei quali Borsellino visse come “un morto che cammina”, come si era definito qualche mese prima lo stesso Falcone.
In quel periodo, infatti, il giudice dovette accelerare i tempi delle sue indagini. Sia per risalire agli esecutori materiali dell’omicidio di Falcone, sia per capire quali erano i mafiosi infiltrati nello Stato, nelle procure e negli uffici di polizia.
Di cosa parla I 57 giorni? Il film, in onda su Rai 1, racconta proprio i concitati momenti vissuti da Borsellino fino al tragico epilogo del 19 luglio 1992.
Paolo Borsellino I 57 giorni, la trama del film
Il film inizia con Paolo Borsellino intento a farsi radere dal barbiere. È il 23 maggio 1992 e il giudice è felice perché ha un appuntamento a pranzo con il collega e amico Giovanni Falcone, di ritorno a Palermo da Roma, dove ha ricevuto finalmente l’incarico di guidare la Superprocura antimafia.
I due, però, non fanno in tempo a festeggiare. Borsellino, dal barbiere, riceve la comunicazione della morte di Falcone, insieme alla moglie e ai poliziotti della scorta, nella strage di Capaci. Per Borsellino cambia tutto: da quel momento, infatti, sa benissimo di essere il prossimo obiettivo della mafia.
Così, nei 57 giorni che separano Capaci dalla strage di via D’Amelio – nella quale perderà la vita proprio Borsellino, insieme agli uomini della scorta – il giudice è protagonista di un’autentica corsa contro il tempo. L’obiettivo è di indagare al meglio sugli esecutori della strage di Capaci, ma anche su tutte quelle infiltrazioni mafiose nei vari livelli dello Stato. Ma non è tutto. Come testimoniato dagli stessi figli di Borsellino, è in quel momento che il giudice capisce di doversi distaccare dalla famiglia, prima del tragico epilogo.
“In mio padre – ha dichiarato in seguito il figlio Manfredi Borsellino – avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni”.