Mignonnes, produzione Netflix, è un film sontuoso di una cineasta franco-senegalese, Maïmouna Doucouré, coraggiosa, donna, di colore. Un inno alla nuova Europa, tutto al femminile, con sei splendide piccole attrici. Tutte protagoniste di una indimenticabile, straziante, interpretazione da Oscar. Oltre a essere cinematograficamente riuscito, “Mignonnes” racconta la realtà e il prossimo futuro con cruda tenerezza, e offre una visione di rara forza femminista come poche volte si è visto al cinema. Una pietra angolare di Netflix, che va a colpire dove già Luchino Visconti aveva indagato nel suo “Bellissima” (1951), con Anna Magnani, e Mario Monicelli aveva rifinito, in “Parenti Serpenti” (1992), in cui un ritratto comico e terribile di una bambina che ballava davanti a “Non è la Rai” ha rappresentato la profezia del nostro distopico presente.
Il film ci racconta quattro storie parallele al vero e proprio prodotto cinematografico. La prima storia parla di un paradosso senza eguali nella società moderna. Italia e Stati Uniti, due tra le nazioni con il tasso di analfabetismo funzionale più alto del mondo, hanno accolto il film ricevendo il messaggio diametralmente, specularmente opposto a quello voluto dagli autori, creando un paradosso di ignoranza senza eguali nel panorama contemporaneo. Parte della responsabilità cade sul Marketing di Netflix, che ha provato a confezionare il prodotto per lo spettatore medio americano, inserendo una copertina ammiccante e chiamando il film “Cuties”. Negli Stati Uniti seicentomila persone hanno chiesto il bando del film, minacciando di morte la regista in alcuni casi e per alcune settimane la vicenda è stata trend topic sui social network. Netflix è stata costretta a delle scuse, pur rifiutando di rimuovere il film. In realtà basta scorrere qualche minuto dell’opera per capire di trovarsi di fronte a un film d’autore, molto riuscito, che narra la storia di alcune bambine vittime delle mancanze genitoriali e delle Istituzioni ed esposte al magnetismo di social network spietati che impongono un modello di femminilità e di successo in antitesi con ogni valore e purtroppo propedeutico solo al più spietato egocentrismo.
Il sogno delle bambine è partecipare a una competizione di ballo in cui si “twerka” e si balla in maniera estremamente provocante. Le bambine, ignare del messaggio intrinseco di sessualità che cercano di replicare, imitano a specchio il comportamento degli adulti, con risultati a tratti drammatici, a tratti grotteschi, a tratti comici. È davvero un grande film, narrato con delicatezza e dolcezza. Un Must see che ci offre uno sguardo non stereotipato sulla Francia d’oggi, sulle difficoltà di integrazione, sulla tradizione secolare e un matriarcato votato al rispetto dell’uomo a prescindere dalle mancanze dell’uomo, contrapposto a un cambiamento epocale nella società. Un film pensato, voluto, sofferto, curato, una gemma nel panorama dello streaming contemporaneo contrapposta a produzioni per adolescenti a tratti ignobili come “Baby”, non a caso prodotto in Italia, serial che tra l’altro riproduce in maniera morbosa il problema della prostituzione giovanile, prodotti per certi versi pericolosi nella percezione che una giovane adolescente può assorbire. I prodotti di punta di Netflix Italia sono “Suburra”, criminalità organizzata, e “Baby” prostituzione nell’alta borghesia romana. Sarà un caso.
La seconda storia di Mignonnes è la cronaca recente. Solo pochi giorni fa la giornalista Selvaggia Lucarelli ha intervistato la madre di una bambina di soli dieci anni campana, “Benny G”, adultizzata e sessualizzata non solo dalle persone che dovrebbero proteggerla, il contesto familiare, ma carne da macello per social network e piattaforme di streaming audio e video. La bambina è protagonista di video a dir poco discutibili, in cui ammicca e compie gesti inconcepibili per una pre-adolescente, con il benestare di Deezer, Spotify, Instagram, Youtube, che nulla hanno trovato da dire in una situazione ai margini della legalità ma ben oltre ogni limite etico, che solo un contesto profondamente degradato dal punto di vista culturale può concepire. Anche in questo caso, Mignonnes aveva colpito nel segno, perché le storie del film, il contesto degradato tra Banlieue Parisienne e provincia Campana sono simili. Dove mancano le Istituzioni e i presidi culturali, arriva criminalità e ignoranza.
La terza storia parla del movimento femminista contemporaneo, spesso più propulsivo a criticare le donne che a difenderle, specie sui social network. Il finale di Mignonnes, che per ovvie ragioni non sveleremo, è un inno, un manifesto, alla liberazione femminile. Una regola basica del cinema parte dall’impianto drammaturgico: fare un grande inizio e un grande finale. E Mignonnes ha un grande finale, commovente forte. Splendido. Mignonnes è un film che avrebbe meritato di più, che dovete vedere, di cui dovete parlare agli amici, che dovete condividere. Perché parla del futuro dei nostri bambini. E lo fa con delicatezza, forza, spietatezza e infinito amore. Prima che sia troppo tardi.
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