«Mi pare follia».
«Si cerca di imporre uniformità di pensiero nella stampa italiana».
«Si tenta di demonizzare le opinioni non conformi».
«Perché non dovrebbe parlare, scusa? Perché devono dire che è pagato dai russi?».
«Sì, ma prima lo erano i vaccini. È scandaloso che un programma possa rischiare la chiusura perché ospita un professore universitario che ha idee diverse dal governo».
«Appunto. Come si può contestare il diritto a parlarle di chi ha idee diverse?».
«Se lo provano davvero li arrestino: altrimenti è solo una diffamazione per imporre un bavaglio».
«Contestare come è fatta una intervista non è compito di un presidente del Consiglio».
«Il capo del governo può criticare un contenuto, ma non dà giudizi su come si fanno le interviste. Altrimenti arriviamo a una verità politica. È molto pericoloso».
«Domani qualcuno si farà vidimare le domande da Palazzo Chigi?».
«Se c’è una spia e lo provi, lo denunci alla Polizia. Ma se hai solo idee diverse è follia».
«Si deve. Altrimenti altro che Putin! È la Corea del Nord».
«Mica tanto. C’è una china pericolosa. Secondo qualcuno non si possono fare manifestazioni di piazza. Altri teorizzano l’abolizione del suffragio. Qualcuno parla di governo militare, Galimberti vuole la dittatura… Brutto clima».
Mario Giordano, conduttore di “Fuori dal Coro!”, spiega le sue idee su guerra e giornalismo. Ha appena pubblicato “Tromboni” (264 pagine, Rizzoli), un saggio pamphlet «contro chi ha la verità in tasca».
«Dalla guerra al Covid, al governo dei migliori c’è l’imbarazzo della scelta. Siamo circondati».
«Mio padre lavorava in banca. Mia madre casalinga: una perfetta famiglia piemontese. Nessun parente nell’Ordine».
(Ride). «Più o meno a 8 anni».
«Avevo un taccuino con l’immagine di Topolino in copertina. La maestra Carla Prati mi chiedeva di scriverci le mie “cronache”».
«Non so se conosci lo stato d’animo tipo dei “piemontesi diffidenti”».
«Scetticismo cronico: “Ma se sei capace di farlo fallo”».
«A casa si leggeva La Stampa. Le mie firme preferite erano Arpino – penso ad “Azzurro tenebra” – e poi Pansa».
«Mia madre mooolto cattolica, elettrice della Dc. Mio padre, figlio di ferroviere, ha sempre detto di votare Pci».
«Il titolo era: “L’Alessandria non si discute, si ama”. E piacque molto».
(Ride). «Vero, ma la traccia era quella. Presi coraggio e iniziai a scrivere, durante l’estate, per il settimanale diocesano L’Ancora».
«Sì, ma già facevo inchieste su contadini vinicoli, vendemmie, raccolti».
«Macché: a pallacanestro mi chiamavano “il puffo”, ero praticamente un nano. Sempre sbeffeggiato per altezza, voce, volto glabro. Fattezze indefinite».
«Riuscivo, con qualche acrobazia, a piazzare degli articoli sulle due riviste della città, Il piccolo e G7».
«In questo Pansa esprimeva campanilismo “casalese”. Io mi sento pienamente piemontese, ovvero rappresentato dall’eterno adagio: “Esageruma nén”».
«È una maschera. Ma nell’intimo sono molto più modesto e parco di quel che si possa pensare».
«È un modo per comunicare».
«Sì, ma con spirito socializzante»….