“In classe con me alle elementari c’erano molti ragazzini cinesi, russi, tanti di ogni razza e provenienza. Forse sono le generazioni prima della nostra a sentire la diversità visto che sono cresciute in un mondo dove l’immigrato o il figlio di coppie miste era un’eccezione”.
A parlare è Mahmood (qui un suo profilo), il vincitore del Festival di Sanremo 2019 con la canzone Soldi. In un’intervista a Repubblica, il 27enne cantante è intervenuto sulle polemiche che hanno seguito il suo successo a Sanremo.
“La musica è una cosa soggettiva, sono consapevole che possa piacere o no e sono pronto ad accettare le critiche. Sembra che io abbia realizzato tante cose ma sono ancora un debuttante visto che il mio primo disco fisico esce il primo marzo”, ha detto.
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Quanto alla questione delle sue origini e al tema dell’immigrazione, Mahmood ha spiegato di non sentirsi un simbolo: “Non credo di essere un simbolo per nessuno per il semplice fatto che sono nato e cresciuto a Milano, quindi sono italiano al cento per cento. Con Soldi ho solo raccontato una storia, non volevo fare politica né lanciare messaggi. La frase che dico in arabo è un mio ricordo di bambino, me la diceva mio padre quando mi portava a giocare al parco”.
Mahmood ha detto di non aver mai vissuto episodi di razzismo nel suo quartiere a Milano Sud. Quanto alla famiglia, ha dichiarato: “Mio padre se n’è andato quando avevo 6 anni. Sono cresciuto con mia madre, i vicini di casa erano mia zia, i miei cugini: mia mamma ha dodici fratelli, siamo una grande famiglia. Da bambino ero abbastanza tranquillo, leggevo molto, lo facevo più da piccolo che ora”.
“Ero cicciotto e con gli occhiali, andavo in piscina, mia madre mi faceva vestire sempre con camicie sgargianti, diciamo che non passavo inosservato ma non ero certo il figo della classe come Liu, un ragazzo cinese che primeggiava”.
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E le polemiche sulla vittoria? “Non mi sfiorano per niente, sono felicissimo, figurarsi se possono minimamente influenzarmi: non ci riusciranno mai”.
Mahmood ha rilasciato alcune dichiarazioni anche al Corriere della Sera.
“Sono cresciuto con mamma che ascoltava i cantautori: Battisti, De Gregori, Carboni e Antonacci erano i suoi preferiti. Nei viaggi in macchina papà metteva le cassette delle cantanti arabe, soprattutto marocchine, come Shirine. Quelle melodie, che sono tornato ad ascoltare dopo anni, sono entrate nella mia musica”, ha detto.
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Il cantante ha parlato anche del suo passato: “Ho fatto il barista per 3 anni e mezzo. In zona San Babila. Facevo l’apertura e mi dovevo svegliare alle 4 e mezza ogni mattino. È stata dura ma mi è servita per capire meglio cosa volevo fare nella vita e cosa no”.
Quanto ai suoi interessi fuori dalla musica, Mahmood ha spiegato: “Sono un nerd. Sono un fan dei Pokémon. Non vedo l’ora che esca il nuovo gioco, anche se temo di dover cambiare consolle. E poi ci sono i libri che mi aiutano a costruire l’immaginario descrittivo dei testi delle mie canzoni. Rileggerei all’infinito Principianti di Raymond Carver. E il mio album si chiama Gioventù bruciata come il film che amo per l’estetica e perché il personaggio di James Dean ha una malinconia innata che ritrovo nei miei brani”.