Può darsi che Dario Franceschini questa notte faccia un sogno: essere inseguito da 500 di bauli. Gli stessi che i lavoratori dello spettacolo portarono in piazza a Milano il 10 ottobre, facendoli rullare come tamburi. La chiusura dei teatri, che, di fatto, avevano ripreso a lavorare meno di un mese fa, sta portando chi ci lavora al calor bianco.
Valeria Cavalli, una dei responsabili artistici di MTM (Manifatture Teatrali Milanesi), durante il lockdown lesse da casa una poesia di Wislawa Szymborska che diceva: “Preferisco l’inferno del caos all’inferno dell’ordine”. Dopo l’approvazione del nuovo Dpcm, racconta a TPI il nuovo inferno vissuto dai lavoratori dello spettacolo. “É l’inferno del caos. Noi teatranti siamo molto disciplinati. Ci dipingono come bohémiennes che si svegliano alle 4 del pomeriggio, ma il lavoro del teatro è estremamente disciplinato. Vuol dire fare planning, fare molte prove per andare in scena. Lo siamo stati ancor più in questo momento di emergenza: abbiamo speso un sacco per ridurre i posti, per i plexiglas nelle biglietterie, per i termometri, per la tracciabilità, per fare sanificazioni, per separare anche i ‘congiunti’. Abbiamo accettato i numeri chiusi, ma ora abbiamo una sala, il Leonardo, che è proprio chiusa completamente, il Litta che è ridotto a 100 posto e La Cavallerizza, che con 60 posti, è inutilizzabile. Ci siamo adattati all’emergenza e da un giorno all’altro ci dicono: si chiude. Non capiamo più niente : è l’inferno del caos”.
“Siamo affranti, disperati disorientati, – dice Simona Migliori direttrice artistica del Teatro Linguaggi Creativi – ci siamo adeguati a tutte le direttive e ha funzionato! Se guardiamo ai dati, dal punto di vista epidemiologico non c’è ragione di chiudere cinema e teatri: c’è stato un solo caso di contagio. Il mio teatro, a Romolo, può ospitare solo 30 persone. Le compagnie fanno spettacolo anche se non guadagnano quasi nulla, pur di dare un segnale di ripresa. Vorremmo delle spiegazioni, anche perché, veniamo assimilati ad attività, come le palestre, le saune, le piscine che non hanno nulla a che fare con noi. Se chiudono i bar alle 18, avrebbero potuto chiederci di fare spettacoli solo il pomeriggio, ma perché chiuderci?”
Un’indagine dell’ufficio-studi Agis, dice che su 347.262 spettatori, in 2.782 spettacoli con una media di 130 presenze nel periodo che va dal 15 giugno (quando sono stati riaperti i teatri) ad inizio ottobre, si è registrato un solo caso di contagio.Questo fa apparire la decisione della chiusura di un intero settore ancora più arbitraria.
“Il problema è che c’è una scarsa conoscenza della materia – aggiunge Valeria Cavalli – non potevano chiamare un regista o un drammaturgo a spiegargli come funziona un teatro? Già a giugno avevano emesso regole surreali: gli attori con la mascherina dovevano recitare distanziati. Se uno passava una scatola ad un altro, doveva mettersi i guanti, i ballerini in scena poteva stare vicini senza mascherina, ma , appena erano in quinta dovevano stare uno da una parte e uno dall’altra e mettere la mascherina”
“C’è stato un tentativo di avere una spiegazione, ma quando manca il referente. Non hai nessuno a cui chiedere! Franceschini è diventato un ologramma! Manca completamente un interlocutore ! Franceschini non c’è mai. Anche alla Biennale del Teatro ha fatto una comparsata ed è sparito!”.
“Ci aspettavamo questa misura e, come Spazio Tertulliano, da ottobre abbiamo sospeso tutti gli spettacoli – dice Giuseppe Scordio, direttore artistico del Teatro Spazio Tertulliano – oggi possiamo far entrare al massimo 30 persone sui 100 posti che abbiamo. E’ come se ogni volta lo spettacolo andasse malissimo. Nel primo lockdown abbiamo accettato una serie di misure perché non conoscevamo la pericolosità del virus, ma oggi, pur con tutto il rispetto per chi ha subito l’epidemia, trovo davvero eccessiva la chiusura totale. Se su un mezzo pubblico di 30/40 metri quadri si può lo spazio all’80% , perché in luoghi di 300, 400 o 1000 metri quadri, non ci possano stare 30 persone ? Conte definì il teatro come ‘Qualcosa che ci fa tanto divertire’, forse considera superfluo il contributo di cultura che possiamo dare in un momento come questo. E’ un arricchimento che non ha prezzo”.
Dopo aver rinunciato a spendere per la sanità i 36 miliardi del Mes, (disponibili da maggio) il governo ora cerca di rispondere all’epidemia bloccando tutto, secondo distinzioni a dir poco sovietiche, fra attività “essenziali” e “non-essenziali”. Ciò che conta è dar l’idea che si fa qualcosa. Come dice il motto emiliano: “Piotost che d’gnit l’ed mej piotos!” (piuttosto che niente è meglio piuttosto). Oggi Conte ha promesso in tv, un “ristoro” a chi subirà la chiusura dicendo che sarà in gazzetta già martedì, ma la promessa, nel mondo del teatro, viene accolta con molto scetticismo.
“Il ‘ristoro’? Qui non si tratta di ristoro, ma di attività che aprono o chiudono – prosegue Giuseppe Scordio – Conosco persone che hanno smesso di lavorare a febbraio. Gli hanno promesso un bonus che è arrivato ad agosto.. Il ‘ristoro’ che abbiamo avuto noi, la scorsa primavera, copre il 10% delle nostre spese. Ci sono gli affitti e chi è titolare di queste strutture vuole quello che gli spetta. Dico a Franceschini che bisogna giocare a carte scoperte e poter dire : questa è la mia spesa e questi i costi dei dipendenti che devono poter sopravvivere”.
Chiediamo a Patrizio Belloli, che fa il regista, se la situazione che sta vivendo la gente di teatro – stretta fra l’incertezza e l’arbitrio – abbia dei “precedenti” simbolici nel teatro e lui risponde con un esempio che misura l’umore del momento: “ La situazione – dice – mi ricorda la scena centrale delle ‘Baccanti’: il Potere politico, il Re Penteo, non riconosce il potere spirituale del teatro e Dioniso, il dio del teatro, gli tende una trappola, promettendogli di mostrargli le Baccanti. Penteo lo segue sul monte Citerone, e caduto tra le mani delle Baccanti viene scambiato per un leone e sbranato”. Chiedo a Belloli se rischi di più di essere sbranato dalle Baccanti del Teatro Conte o Franceschini e lui risponde : “Per la sua assenza o meglio per la sua presenza-assenza e per questi provvedimenti che non riconoscono la complessità del reale. I teatri sono stati contingentati con una serie di restrizioni che hanno funzionato. I numeri parlano chiaro : c’è stato un solo contagio. Perché punirci?”.
In attesa dei “ristori” di Conte, Patrizio ha lanciato un progetto per finanziare i prossimi spettacoli: “È un nuovo contenitore di eventi – dice – che si finanziano con la prevendita di biglietti. Li vendiamo adesso per finanziare spettacoli, che andranno in scena da primavera. In questo modo si pagano gli artisti e si permette anche agli enti che li ospiteranno di avere una quota. Il progetto si chiama ‘Corpo di mille balene’. É anche un modo per dire: bisogna reagire, corpo di 1000 balene!”.
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