Solitamente film e fiction che attingono, in modo diretto e anche bruciante, dalla realtà, vengono lasciati a sedimentare. Sia per evitare possibili pendenze legali, sia per arrivare a fatti conclamati, con pochi chiaroscuri. Per consegnare allo spettatore un’opera in qualche modo definitiva e non correre rischi. Fa eccezione (pur con qualche ovvia cautela) «Luis Miguel», serie tv di Netflix realizzata nel 2018 per conto di Telemundo, emittente di Miami, e ora in onda in streaming con la seconda, un episodio a settimana.
È dei giorni scorsi la notizia di una terza stagione già in cantiere. Si racconta la storia incredibile e per molti versi drammatica, tra vita privata e palcoscenico, dell’idolo della canzone latino-americana, oggi 51enne, nato a Porto Rico e ribattezzato «El Sol de Mexico».
In Italia la faccia pulita, magnetica e sensuale di Luis Miguel Gallego Basteri, alias Luis Miguel, spiazzò tutti quando spuntò in gara al Sanremo del 1985 con «Noi, ragazzi di oggi», canzoncina scritta da Toto Cutugno che si piazzò al secondo posto, come da cotugnesca tradizione personale. Giacca e cravatta con la maniche arrotolate, una carica incredibile di energia che spiccava nel contesto ancora baudian-paludato del Festival, e la bellezza di un 25enne scatenato, fecero del nostro immediata icona formato poster A3 nella cameretta delle ragazzine. Oggi i millennials praticamente non conoscono Luis Miguel, eppure fu uno tra i più grandi teen-idol degli anni 80. Di certo non quanto Simon Le Bon dei Duran Duran, ma suscitò impennate di scariche ormonali in legioni di fans.
L’iniezione da noi fu in realtà intramuscolare, perché quella del ragazzo che vestiva quasi come un travet e cantava con passione motivetti romantici, era solo una breve incursione europea. Il suo successo andava consumato soprattutto sul mercato latino-americano.
E nulla si sapeva allora del travaglio personale che stesse vivendo, raccontato poi da lui stesso via via nelle interviste di una vita e nel libro «Luis mi Rey», scritto da Javier Leòn Herrera. Materiale comunque solido sul quale è stato poi lavorato, con ovvie licenze drammatugiche, tutto il canovaccio del biopic, che si sviluppa con continui (forse eccessivi ma coerenti) salti temporali fra le varie età del protagonista, interpretato da tre attori.
Figlio dell’italiana Marcela Basteri, di Carrara, e del cantante spagnolo un po’ frustrato Luisito Rey, che non riuscì mai a raggiungere la grande notorietà personale, all’età di 11 anni fu indirizzato da papà (che probabilmente sarebbe stato costretto, senza soldi, a far rimbalzare la famiglia da Città del Messico in Europa) alla carriera di mini-fenomeno della canzone, ovviamente accompagnato alla chitarra dall’occhiuto genitore. Il ragazzo aveva gran voce e parecchio talento, riempiva locali e teatri, e babbo si trasformò in breve nello spietato, cinicissimo manager ingoia soldi e contratti ben descritto nella serie. Dove la sua insopportabile figura che definire doppia è poco, ottimamente interpretata da Òscar Jaenada Gayo, fa da contraltare alla faccia pulita di Diego Boneta, attore (biondo, per l’occasione) molto somigliante all’orginale che veste i panni del figlio Luis Miguel. Non è De Niro, ma se la cava molto bene a rendere i tormenti di un ragazzino che si accorge pian piano, anno dopo anno, delle carognate commesse dal padre ai suoi danni e a quelli dell’ultra protettiva madre Marcela. Pur senza poter abbandonare, sino alla maggiore età, la sua tutela genitoriale e manageriale.
«Luis Miguel» è anche un piccolo, prezioso Bignami dei luoghi comuni (tragicamente veri) della discografia Anni 80-90, con le sue regole non scritte ma immodificabili per portare un artista al successo. Quelle di quando i soldi nel mondo della musica leggera giravano ancora per davvero, non esistevano i social, e le carriere venivano costruite passo passo spesso totalmente a tavolino dal marketing investendo molto in ciò avrebbe dovuto (quasi per forza, vien da dire) diventare un successo. Oggi partecipi anche al più noto dei talent e nel 98% dei casi sai già che poi te ne tornerai senza una piega al cono d’ombra. All’epoca funzionava ben diversamente.
Al povero Luis viene di fatto vietata dal padre, fra trucchi e sotterfugi, la frequentazione della prima vera fidanzata della sua vita: una graziosa ma un po’ anonima fotografa che nelle serate ufficiali deve sparire a beneficio di nessuno oppure di una bionda e appariscente modella passeggera che porterà valanghe di foto della presunta coppia sui rotocalchi gossipari. La fan base va un po’ tranquillizzata e un po’ esaltata. Il ragazzo la vive male, è pur sempre lui la star, ma papà in realtà lo comanda a bacchetta e lo tiene in pugno dietro le quinte insieme con lo zio (un personaggio caricaturale dalla recitazione poco più che oratoriale) del quale Luis si fida ma che è pappa e ciccia con chi gli vuole male con il pretesto di volergli bene. Un uomo che evade tasse per 20 milioni e finisce per rischiare di mandare in carcere il figlio stesso, e che mente costantemente a tutti per accumulare soldi su conti svizzeri. Fra promesse solenni al figlio di preziosi (e inattuabili) duetti con Michael Jackson, arroganza a fiumi, ricattini e veti incrociati fra majors e amanti nascoste che mandano al tappeto psicologicamente la moglie Marcela, che a un certo punto, nel 1986, decide di sparire definitivamente.
Da lì in poi gran parte della vita di Luis (e dei suoi due fratelli, più motivati e meno distratti di lui perché non travolti dal successo) si spende nel tentativo di ottenere notizie per poterla ritrovare. Al netto di quella cartolina che arriva un giorno da un paesino italiano confermando al cantante, il preferito di mamma: «Sei il mio sole». Ma le ricerche non portano a nulla, le tracce sono pressoché inesistenti o coperte dall’omertà. E poi, chi l’avrà spedita davvero quella cartolina, quando – volente o nolente – hai a che fare ogni giorno con un padre così, maestro dell’inganno, che tutto ti tace e quando ti parla è solo per mentire? Forse sarà tornata con il suo ex, come si dice, oppure no? E poi, sarà veramente ancora viva?
Di Marcela Basteri, che oggi avrebbe 74 anni, si era già occupato anche «Chi l’ha visto?» nel 1993, dietro una prima richiesta della famiglia, e il programma di Rai3 condotto da Federica Sciarelli è tornato sul caso proprio nel marzo scorso, dopo che una nipote della donna ha riconosciuto in Argentina una foto del 2018 che sembrava raffigurarla. Era una homeless del quartiere San Telmo a Buenos Aires.
Luisito Rey è morto a Barcellona il 9 dicembre 1992, all’età di 47 anni. La prima scena della prima stagione di «Luis Miguel» inizia con il cantante che, allontanatosi già da tempo da lui, riceve in camerino, poco prima di salire sul palco in Argentina, la notizia che il padre sembra stia per morire. «Forse sarebbe giusto fargli una telefonata, potresti non rivederlo più», dice il suo assistente. Luis lo fissa sprezzante e sale sul proscenio, buttando in una canzone d’amore (a quel punto poco credibile) tutto l’odio che ancora gli si agitava in corpo.
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