Polemiche dopo le dichiarazioni in diretta tv di Mara Venier nella puntata di Domenica In del 20 gennaio 2019. La conduttrice del programma Rai, che stava parlando con Stefano Zurlo del suo ultimo libro incentrato sull’attentato a Palmiro Togliatti (segretario del Partito comunista italiano), ha salutato colui che commise il gesto, Antonio Pallante. Non solo. Venier ha anche mandato un messaggio di auguri all’uomo ormai 95enne.
Il Partito democratico ha subito alzato la voce sul caso protestando nel Consiglio di amministrazione. “Pallante è simbolo e artefice di una delle più drammatiche vicende della nostra Repubblica – ha affermato Francesco Verducci, senatore del Pd in Commissione di vigilanza Rai – Vederlo sdoganare da Rai 1, nel contenitore nazionalpopolare per eccellenza, è una pagina miserevole per il servizio pubblico e per il nostro Paese”.
“Chiediamo alla direttrice di Rai 1, Teresa De Santis, all’amministratore delegato, Fabrizio Salini, e al Cda di intervenire per chiarire come sia potuta avvenire una tale enormità e scempiaggine, per riparare questo torto e chiedere scusa agli italiani” ha continuato Verducci.
“Io ho soltanto salutato una persona molto anziana, di 95 anni – ha risposto Venier, spiegando il motivo del gesto – Chiedo scusa se qualcuno si è risentito. Sono molto dispiaciuta, ma vorrei che fosse chiaro che la politica non c’entra nulla. Sono una persona molto spontanea”.
L’attentato a Palmiro Togliatti
Era il 14 luglio 1948 quando a Roma, in via della Missione – la strada che costeggia il palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei deputati – quattro colpi di pistola raggiunsero il segretario del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti. A sparare fu uno studente di destra, Antonio Pallante.
L’attentato a Togliatti avvenne in un’Italia appena uscita dalla guerra e con forti divisioni al suo interno. Non a caso, nelle ore successive alla sparatoria, appena si diffuse la notizia il Paese fu attraversato da violente manifestazioni. Si verificarono incidenti a Roma, nella città portuale di La Spezia e ad Abbadia San Salvatore, sede di un’importante miniera sul Monte Amiata. Molti dimostranti scesero in piazza armati. A Napoli, Livorno, Taranto e Genova ci furono anche diversi morti negli scontri. A Torino, gli operai della Fiat sequestrarono presso il proprio ufficio l’amministratore delegato dell’azienda, Vittorio Valletta.
Il disordine fu tale che la maggior parte dei telefoni cessò di funzionare e il traffico ferroviario si bloccò completamente. La tensione proseguì anche nei giorni successivi all’attentato, mentre si attendeva di conoscere le condizioni di salute di Palmiro Togliatti e in Italia si susseguivano le voci più diverse e in modo molto confuso.
L’intervento chirurgico riuscì a salvare la vita del segretario comunista e a tranquillizzare in parte la situazione. A far placare gli animi ci fu anche la vittoria del ciclista Gino Bartali nella tappa del Tour de France del 15 luglio, che contribuì a distrarre la popolazione dalle violente manifestazioni.
Il giorno dell’attentato, il presidente del consiglio italiano, Alcide De Gasperi, aveva infatti chiamato Bartali per chiedergli se sarebbe stato in grado di vincere la tappa del giorno successivo.
Appena Togliatti riprese conoscenza, le sue prime parole furono rivolte ai militanti comunisti, invitandoli a tenere la calma e a non fare pazzie. Fu così che l’Italia uscì da una situazione estremamente complessa e scongiurò il pericolo che visibilmente si era concretizzato di una guerra civile.
Antonio Pallante venne arrestato dalla polizia subito dopo aver colpito leader del Pci e, l’anno seguente, condannato a 13 anni e 8 mesi di carcere, di cui ne scontò solo cinque per via di un’amnistia.