Malcolm & Marie è l’ultima fatica Netflix, che sta impressionando per qualità produttiva, al ritmo di un grande film, o quasi, a settimana. Questa opera a volte sorprende, a tratti risuona di déjà vu del passato, da Robert Altman a Antonioni, altre volte mette insieme frammenti di un discorso elevandoli al digitale. Seppur girato in pellicola, è un po’ come ascoltare una canzone in digitale, perfetta, a volte senza anima, ma di grande impatto.
Un regista e sua moglie tornano da una Prèmiere, la notte li accompagna in un rondò di emozioni, litigi, messe a nudo emotive. I quattro livelli del film sono svelati come carte da gioco. Il primo è tecnico. Sam Levinson, l’autore del film, è il figlio del grande regista Barry (Good Morning Vietnam, Wag the Dog, Rain Main, Il Migliore) , ma tutto questo non si nota più di tanto nella pellicola, se non per chiari riferimenti allo status privilegiato del protagonista/regista/
Sembra un film ad alto budget, ma è costato solo due milioni e mezzo di dollari. Non ci si faccia ingannare dal fatto che ci si trovi in un’unica location. Tecnicamente questi film sono molto difficili per un problema di “continuity”, vale a dire la continuità tra una scena e l’altra. Seppur le scene siano girate in giorni, in questo caso notti, diverse, gli attori devono mantenere la stessa pettinatura, pieghe dei vestiti, trucco. Un mezzo incubo per la segretaria di edizione.
Il film ha poi davvero grandi frecce al proprio arco, una musica intensa, costumi di classe, una location d’élite, una regia solida, una interpretazione di Zendaya fuori scala. Questa ragazza è una stella a soli 24 anni. Modella, attrice, produttrice, bellezza e bravura infinita. Il secondo livello riguarda il rapporto di coppia tra i due, messo a nudo più volte, in cui l’egoismo reciproco è l’unico approdo finale. In ogni caso belle battute, ottimi riferimenti, ottima intensità.
Il terzo livello comprende la sfida agli stereotipi di genere, e ce n’è per tutti. Gli autori battono il tasto sulla connotazione etnica dei registi del nuovo millennio, sul ricondurre ogni trama a disquisizioni politiche o di opportunità. C’è poi un livello intimo che passa attraverso una vera e propria lotta tra sessi, in cui carnefice e vittima scambiano continuamente i ruoli, dove il confine tra attore, autore e produttore si confonde continuamente, e un sentire intimo che è proprio di ogni drammaturgo.
Quanto “rubiamo” dal prossimo e ci ispiriamo a lui? O, ancora peggio, quanto prendiamo da una persona in un rapporto amoroso perché ci serve quella parte di esso? L’uno recrimina all’altro “l’utilizzo” a fini drammaturgici delle rispettive anime. È pensato, voluto e sofferto questo viaggio continuo all’interno e all’esterno della casa, luogo dell’anima e luogo della messa in scena. Tra un furto e l’altro il film ruba tanto dal passato, ma questo è un’altra questione. Siamo ormai arrivati a tirare la corda di ciò che è fattibile nell’ambito della messa in scena cinematografica, e non è un caso che Netflix sia al contempo carnefice del cinema e suo ultimo anfitrione.
Pur lontanissimi da “Short Cuts” (America Oggi) di Altman, altri tempi, altri uomini, altri registi, Sam Levinson suona bene una elegantissima sonata amorosa con tante moderne dissonanze. Una unica, grande pecca, il film fa parlare gli attori di temi, quando a volte dovrebbe fare sentire loro i temi e peccato di gioventù del dotato autore. Ma questa è anche un’altra maschera dichiarata del film.
“In fondo noi artisti siamo solo prostitute”. Non c’è nulla di vero nell’arte, nemmeno le finte indignazioni, i “black lives matter”, le prese di posizione. Nessuno è davvero radicale. Lo erano, questo sì, Gli Altman, i Kubrick, i De Sica. Questo è il tempo della finzione, non esistono più film politici, e il film lo dichiara molto bene, a suo vantaggio e svantaggio. Il film, in ultimo, mette a nudo a contrasto le clamorose deficienze produttive di Netflix Italia, fanalino di coda del mondo. Questo è un film girato con davvero pochi soldi, ma di eleganza e classe, simbolo di bravura e lungimiranza della divisione americana. A tutt’oggi nelle produzioni Netflix Italia non vi è ombra di un film o serial riuscito, e considerato l’outlook tra dirigenza, agenzie di attori, qualità delle idee, dei registi, e degli sceneggiatori italiani, rimarremo il fanalino di coda delle produzioni Netflix per almeno il prossimo decennio. Rimanendo ottimisti. Ad oggi, il migliore dei prodotti Netflix Italia è il peggiore di qualsiasi produzione mondiale. E non è un caso.