Gli anni più belli: la critica attacca, Muccino risponde: “Ma chi siete voi?”
Il nuovo film di Gabriele Muccino, ‘Gli anni più belli’, è uscito al cinema il 13 febbraio e sta andando molto bene. Primo al box office, nei primi 10 giorni di programmazione ha incassato più di 4 milioni e mezzo di euro, una performance notevole per un film italiano.
Un buon successo di pubblico che non ha però convinto la critica la quale, se escludiamo i redazionali pagati, è abbastanza concorde nel definirlo non eccezionale. Ad esempio Maurizio Porro, sul Corriere, è decisamente lapidario: “Muccino vola raso terra, vira tutto in romanesco e si permette di rifare la scena felliniana della fontana, oltre come sempre dir banalità, urlar stereotipi, cantare in macchina. Amen”, mentre per il Foglio “Ormai l’ex giovane regista è più riconoscibile di Nanni Moretti: basta una scena recitata con energia, che spesso vuole dire “fuori la voce”, seguita da un melodrammatico slancio”. Insomma, non proprio entusiasmo. Ma può accadere a tutti, e in generale un regista risponde alle recensioni, generose o meno che siano, in un solo modo: con il silenzio. Ma non Gabriele Muccino, evidentemente fumantino come i protagonisti di tutti i suoi film.
Sul suo profilo twitter, infatti, il regista non è riuscito a trattenersi dal rispondere alle critiche poco lusinghiere. Nello specifico risponde solo a Massimo Donelli, ex dirigente Mediaset, che aveva pubblicato alcuni tweet contenenti le recensioni più critiche. Al tweet che linkava l’articolo di Valerio Caprara, il quale assegna al film un drammatico punteggio di 1,5 su 5, Muccino risponde così: “Un critico che così si propone, si presenti con pochissima decodifica filmica, persino incapace di non riconoscervi gli evidenti riferimenti a “Una vita difficile” (a cui il film di Scola si ispirò) e non sa nemmeno quanti film abbia fatto. Sono dodici, non undici. Aprite Google”.
Al netto della sintassi un po’ diluita, tra doppie negazioni, virgole a caso e l’assenza di un vero periodo principale, si può comunque evincere che il regista non l’abbia presa proprio bene. Ma è per un’altra recensione, quella di Mariarosa Mancuso per il Foglio, che Muccino perde totalmente la brocca scadendo nelle solite accuse d’invidia e di frustrazione alla categoria dei giornalisti. “Ma chi siete voi, critici cinematografici? Cinefili con ambizioni più alte e non risolte che si sforzano di cercare una voce per etichettare un cinema che da 23 anni ancor sfugge ai vostri parametri ma è sempre stato chiaro al grandissimo pubblico anche globale? #peaceandlove”.
Insomma, qualcosa di molto simile all’utente medio di Twitter, con picchi di auto-celebrazione (un cinema che da ventitré anni ecc) di altissimo livello. Tutte cose di cui Gabriele Muccino non avrebbe bisogno, dal momento che il successo di pubblico è evidente e il box office, alla fine, è l’unica cosa che conta. A meno che non si punti all’immortalità, anche se dubitiamo che Ettore Scola, a cui ‘Gli anni più belli’ secondo la critica è un pedissequo tributo, l’abbia conquistata a forza di tweet.