Il 14 gennaio del 1919 nasceva a Roma quello che sarebbe diventato uno dei politici più controversi della Prima Repubblica: Giulio Andreotti. È stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, il partito che ha attraversato e segnato la storia del paese dal dopoguerra a metà degli anni Novanta, a cui è rimasto fedele fino allo scioglimento della forza, nel 1994.
Con quella casacca, Giulio Andreotti ha rivestito numerosi incarichi governativi. È lui l’uomo che, dall’alba della repubblica nel 1946, ha ricoperto più incarichi in assoluto: per ben sette volte è stato nominato presidente del Consiglio ed è stato ministro 26 volte.
Sulla vita del politico democristiano sono calate pesanti ombre, quando si ipotizzò che fosse la mente dietro la strategia della tensione che ha segnato tutto il corso degli anni Settanta e, soprattutto, quando fu accusato di avere rapporti con Cosa nostra. Tanto che sul finire del Novecento, Andreotti fu imputato in un processo per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Assolto in primo grado dal Tribunale di appello, il politico nel 2003 fu assolto anche dalla Corte d’appello di Palermo, ma solo per i fatti accaduti dopo il 1980. Per quelli successi prima di quella data, la Corte stabilì che Andreotti aveva commesso il reato di associazione per delinquere con Cosa Nostra. In quel caso, però, il reato era caduto in prescrizione. L’unica condanna che scontò fu quella del pagamento delle spese processuali, su sentenza della Cassazione.
Il politico della Dc morì nel maggio del 2013, nella sua Roma, a 94 anni e forse portò con sé la verità su tanti misteri irrisolti della Prima repubblica.
Una vita intricata e piena di zone scure, quella di Giulio Andreotti, che viene magistralmente raccontata nel film di Paolo Sorrentino Il Divo – La spettacolare vita di Giulio Andreotti, del 2008. A interpretare Andreotti un magistrale Toni Servillo.
Il Divo | Trama
Il film diretto da Sorrentino si concentra sugli anni cruciali che vanno dal 1991 al 1993. Sono gli anni delle stragi, dei suicidi misteriosi, delle bombe che fanno saltare in aria giudici, delle teste di giornalisti scomodi che saltano. E così la vita politica di Andreotti si intreccia con le storie del rapimento di Aldo Moro, dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della strage di Capaci e della morte in carcere del faccendiere Sindona, ma anche del suicidio misterioso del banchiere Roberto Calvi e dell’omicidio del giornalista che sapeva troppo Mino Pecorelli.
Se la prima parte del film è dedicata agli intrighi dentro al partito per la corsa al Quirinale – che vincerà ì, invece, Oscar Luigi Scalfaro – la seconda è interamente concentrata sui rapporti che il Divo ebbe con la Sicilia di Cosa nostra, per arrivare fino alle udienze del maxiprocesso di Palermo. Intanto sono gli anni di Tangentopoli, delle teste dei politici corrotti che saltano. Quella di Andreotti resterà sempre al suo posto e, anzi, nel film si intuisce che il Divo passerà una serie di documenti proprio per incastrare gli avversari.
Intanto la vita pubblica si mischia con quella privata: l’amore per la moglie Livia, forte, resta il filo rosso nel film, nonostante lei, dopo decenni in cui è stata accanto al marito, ammette di non conoscerlo fino in fondo. In un monologo lungo e appassionato, Andreotti si rivolgerà alla sua Livia, ammettendo di averle nascosto tanti segreti. Ma toccante resta la scena in cui i due siedono davanti alla tv mentre Renato Zero canta “I migliori anni della nostra vita”.
Entra in scena il procuratore di Palermo Giancarlo Caselli: si susseguono gli interrogatori dei pentiti di mafia e si ripropone il nome di Giulio Andreotti tra gli interlocutori di Cosa nostra a Roma. Ai colloqui con il procuratori si alternano i flashback di quei presunti incontri che il Divo ebbe con i mafiosi.
Il senatore della Dc respinge fermo le accuse di collusione. Nega i rapporti con la mafia, anche nel confessionale con il sacerdote intento ad ascoltarlo. La sua vita è quella di un “sorvegliato speciale”, i suoi movimenti sono monitorati dai carabinieri, dice davanti alla commissione del Senato che deve scegliere se autorizzare o meno le indagini.
Andreotti andrà a processo e così si chiude il film di Sorrentino. Una scritta prima dei titoli di coda informa su come andrà a finire: il primo processo per associazione mafiosa si chiuderà con l’accertamento del reato. Reato, però, estinto per prescrizione. Per il processo in cui Andreotti è accusato di essere dietro la morte del giornalista Pecorelli, il Divo sarà assolto.
Il Divo | La reazione di Andreotti
Il Divo in persona ha visto il film, uscito nel 2008, in anteprima. La reazione è stata dura, “stizzita”, come l’ha definita Sorrentino: “È molto cattivo, è una mascalzonata, direi. Cerca di rivoltare la realtà facendomi parlare con persone che non ho mai conosciuto”. Non ha sporto querela, però, dimostrandosi più morbido nei confronti del film: “Se uno fa politica pare che essere ignorato sia peggio che essere criticato, dunque…”.
Il Divo | Colonna sonora
Il film di Sorrentino è accompagnato dalle musiche composte da Teho Teardo, ma non mancano diversi brani di repertorio che arrivano a esaltare alcune scene cruciali della pellicola e spaziano dal pop al rock alla musica elettronica.
Non mancano musiche dell’epoca: La prima cosa bella cantata dai Ricchi e poveri ma anche E la chiamano estate di Bruno Martino, fino a I migliori anni della nostra vita di Renato Zero.
Il Divo | Frasi
- Mi creda, io so cos’è la solitudine; non è una gran bella cosa. Per il mio ruolo, per la mia storia, avrò conosciuto nella mia vita approssimativamente 300.000 persone. Lei crede che questa folla oceanica mi abbia fatto sentire meno solo?
- Io non ho mai creduto che si possa distinguere l’umanità in due categorie, angeli e diavoli, siamo tutti dei medi peccatori.
- Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato al cimitero del Verano. Si passeggiava, io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa – ti ricordi? Sì, lo so, ti ricordi. Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l’hanno definita “Strategia della Tensione” – sarebbe più corretto dire “Strategia della Sopravvivenza”. Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa e lo so anch’io.
- Se è vero che per essere un buon cristiano bisogna porgere l’altra guancia, è pur vero che Gesù Cristo, con molta intelligenza, di guance ce ne ha date soltanto due.
Leggi anche: Cose da sapere su Giulio Andreotti
Leggi l'articolo originale su TPI.it