Talvolta, camminando per strada, soprattutto durante quelle stagioni estive passate in città per mancanza fondi vacanze, ci si può imbattere nel cartellone di un film in programmazione in una delle poche sale rimaste aperte a fare concorrenza alle proiezioni all’aperto di blockbuster in seconda e terza visione.
Quasi sempre le produzioni feriali sono scadenti e raffazzonate, di solito messe in scena demenziali di scarsa rilevanza oppure horror lasciati andare via alla viva il parroco. Tuttavia, più raramente, rischiando il prezzo ridotto del biglietto, si possono trovare pellicole sorprendenti che avrebbero meritato senz’altro più risalto e attenzione. Mi viene in mente un delizioso lavoro di Jocelyn Moorhouse del 1995, “ How to Make an American Quilt”, commedia romantica al femminile tratta da un racconto di Whitney Otto e interpretata magistralmente da Winona Ryder, che è il secondo rimando di memoria percepito affrontando “L’estate in cui imparammo a volare”, serie appena uscita sulla piattaforma Netflix ai primi posti della classifica di gradimento del pubblico.
Il primo pensiero invece è andato al capolavoro assoluto di George Cukor “Ricche e Famose”, che vedeva duettare strepitosamente Candice Bergen e la meravigliosa e mai troppo amata Jacqueline Bisset, qui in uno dei suoi ruoli migliori, dove si raccontava la storia di un’amicizia tra due donne.
Lo stesso vale per Katherine Heigl e Sarah Chalke, molto conosciute dagli gli amanti di “Grey’s Anatomy” e “How I Met Your Mother”, che regalano il volto rispettivamente a Tully e Kate, amiche fin dall’adolescenza e protagoniste di una storia assolutamente credibile e, a tratti, struggente. “L’estate in cui imparammo a volare” infatti è il racconto di un legame assoluto e difficile tra due donne forti con un ingombrante bagaglio di sofferenza alle loro spalle, pronte a nascondere la loro fragilità ma incapaci di smettere di assecondare le loro debolezze estreme.
L’impianto narrativo è costruito in modo solido sull’alternanza di periodi temporali diversi, non tanto per scombussolare la visione, quanto per regalare al prodotto finito una fluidità più affascinante e un ritmo sincopato e a suo modo scorrevole. Quel che è evidente fin da subito è l’importanza dell’aiuto reciproco quando i problemi si moltiplicano e c’è bisogno di non affrontarli in solitudine. Tully e Kate provengono da famiglie molto differenti tra loro, la prima è figlia di una ragazza madre immatura ed egoista, schiava delle sue dipendenze da sostanze, mentre la seconda proviene dalla working class americana, ammantata da buoni propositi che svelano però, dietro le apparenze, ipocrisie e menzogne. Per questo le due ragazze sviluppano un’immediata empatia, completandosi a vicenda e nutrendo la loro complicità negli anni senza mai smettere di esserci l’una per l’altra.
Tully è bella, sfrontata e sensuale, Kate intelligente e timida, a volte poco coraggiosa ma combattiva, entrambe vivono a Seattle, splendida città del nord degli Stati Uniti, pregna di una tradizione musicale stratosferica che va da Ray Charles ai Pearl Jam, passando per Jimi Hendrix fino ai Foo Fighters. La loro relazione è densa e scoppiettante, entrambe operano in ambito giornalistico con ruoli diversi, spesso collaborando, con obiettivi e priorità che si intrecciano e si distinguono man mano nel tempo.
Una storia autentica, a volte dura, con un finale misterioso che lascia presagire una seconda stagione, sicuramente foriera di colpi di scena inattesi e nuovi sviluppi sentimentali, anche se il senso di tutto rimane sempre sul fondo di un bicchiere di vino bianco condiviso e bevuto sopra un letto king size, tra lacrime e rimpianti, ricordi e consigli, pentimenti tardivi e buoni propositi. Spesso è difficile ricacciare dentro il dolore, nascondere le cicatrici forgiate dagli abusi e dalla stupidità, Tully e Kate questo lo sanno, come sanno che per provare a vivere bisogna guardare avanti, calpestando la sofferenza, con il sorriso sulle labbra.
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