Edoardo Leo e la riflessione sul maschilismo inconsapevole
Protagonista e regista del film Non sono quello che sono, ispirato al celebre Otello di William Shakespeare, l’attore Edoardo Leo si è lasciato andare ad alcune riflessioni su temi di grande attualità come il femminicidio e il patriarcato.
Intervistato da Vanity Fair, l’interprete ha rivelato che l’idea della pellicola gli è venuta quando ha letto un titolo di giornale: “‘Uomo uccide la moglie e poi si suicida’. Ho pensato: è la storia di Otello. Quel titolo risale al 2006 o al 2007. Volevo che Non sono quello che sono fosse il mio esordio alla regia, ma allora non me l’avrebbe prodotto nessuno: io non ero nessuno, il cinema puntava sulle commedie e i femminicidi non occupavano le prime pagine dei quotidiani”.
“Ho cominciato comunque a scrivere la sceneggiatura nei ritagli di tempo. Ho letto parecchie traduzioni e visto tutti i film possibili sull’Otello, musical indiani compresi. Avrei fatto un’operazione antistorica se avessi permesso al pubblico di provare compassione per il carnefice. Ho tagliato di netto il famoso monologo dell’addio alla vita del protagonista, cavallo di battaglia di tanti primi attori del ’900. Per questo verrò bannato da qualche circoletto di Shakespeare? Va bene così”.
Durante la lavorazione del film, Edoardo Leo si è reso conto del suo “maschilismo inconsapevole, sui comportamenti patriarcali che qualche volta non ho riconosciuto o tenuto a bada”.
“Ho realizzato di non essermi mai indignato guardando il pugilato, sport nobilissimo dove a un certo punto però una ragazza in costume sui tacchi sfila con il cartellone del round e gli spettatori la insultano per divertimento. Quando è uscito il film Mia (sulle relazioni tossiche tra i giovani, ndr), ho intimato a mia figlia di 14 anni: ‘Non permettere a nessuno di dirti come truccarti, come vestirti, a che ora uscire. Nemmeno a me‘, e mi sono pure sentito figo. Non mi ha sfiorato invece il pensiero di chiedere a mio figlio, oggi 18enne, se è mai stato ossessivo, morboso, possessivo. L’altro giorno, davanti a una partita di calcio in tv, mi sono rivolto a un giocatore con un’espressione infelice: ‘Ma fai il maschio!’. Siamo tutti parte del problema”.
L’interprete, quindi, rivela una sorta di esperimento che ha proposto a teatro: “Ci sono femminicidi che scuotono l’opinione pubblica più di altri. Quando è stata uccisa Giulia Cecchettin ero in tournée a teatro e tutti parlavano della sua storia. Ho deciso di cambiare metà dello spettacolo: ho cominciato a leggere alcuni passaggi del monologo di Franca Rame Lo stupro e le domande agghiaccianti che nelle aule di tribunale vengono rivolte alle donne vittime di violenza sessuale. Prendendo poi le parole di Elena Cecchettin – ‘Non fate un minuto di silenzio per mia sorella, fate un minuto di rumore’ –, ho chiesto agli uomini presenti in sala di alzarsi in piedi e alle donne di fare un baccano infernale. Dal palco io guardavo quegli uomini: qualcuno è rimasto seduto, molti avevano il terrore dipinto in faccia, altrettanti mi hanno detto che non avevano mai provato un tale imbarazzo”.
“Sto arrivando! che cosa rispondevo? ‘È lo stesso che avverte una ragazza quando al ristorante, vestita come pare a lei, va verso il bagno e passa davanti a un tavolo di quattro maschi: nel migliore dei casi la fissano come carne da macello, spesso le rivolgono commenti terribili’. Ecco, nella vita privata, posso fare che, se sto a quel tavolo, me ne vado; nella vita professionale, invece, devo creare occasioni di riflessione” conclude Edoardo Leo.
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