“In questo momento tutti si sentono in diritto e in dovere di parlare di Berlusconi e del Napoli. E allora io non parlo né del Napoli, né di Berlusconi!”. Il Divo Paolo Sorrentino arriva a sorpresa, travolge la piazza e all’indomani del terzo scudetto del Napoli e della morte del fondatore di Canale 5, lui – che ha dedicato film a entrambi, preferisce restare – sornione – in silenzio.
L’incontro a piazza San Cosimato (Roma) del 21 giugno non era previsto dal programma del “Cinema in Piazza” 2023 ed è stato annunciato all’ultimo momento, ma questo non ha impedito ad una grandissima folla di accorrere alla proiezione di E’ stata la mano di Dio, alla quale sono intervenuti anche il produttore Lorenzo Mieli e il protagonista Filippo Scotti.
“Mi sono vestito elegante – dice appena salito sul palco – ma solo perché dopo devo andare a una festa”. L’autore di Le conseguenze dell’amore è una vecchia conoscenza dei ragazzi del Cinema America, reduci dalla storica vittoria per impedire la demolizione della sala trasteverina.
Una lotta durata dieci anni, durante i quali hanno aperto il Cinema Troisi (proprio di fronte al Nuovo Sacher di Nanni Moretti) e avviato la rassegna del Cinema in Piazza che aveva già visto la presenza del regista partenopeo nel 2019.
“Pensavo che E’ stata la mano di Dio servisse a esorcizzare i miei problemi – racconta il regista premio Oscar – e in parte lo è stato, anche perché ne ho parlato per un anno con Filippo, e quindi alla fine i miei problemi li ho esorcizzati parlandone fino alla noia. Ma poi ho scoperto che questo film parla molto di più a quell’ampia categoria dei giovani che vivono una frase di Sartre che sosteneva che l’inferno fossero gli altri”.
“Perché da adolescenti – continua Sorrentino – l’inferno sono gli altri: sono i genitori, gli amici, i ragazzi o le ragazze che ci rifiutano, e quindi il film spero che porti un minimo di aiuto a chi vive una condizione di disagio giovanile; o per meglio dire, del disagio di essere giovani, e per questo sono particolarmente felice oggi di mostrarlo a una platea composta soprattutto da adolescenti”.
Perché hai scelto Filippo Scotti per interpretarti?
“L’ho scelto perché cercavo un attore che fosse in ritardo, come me. Un ritardo mentale, come io lo ero da ragazzo e come lo sono tuttora. Tra quelli che ho visto lui era quello più in ritardo. In realtà ne avevo trovato un altro che mi piaceva di più, che era ancora più in ritardo, ma era così in ritardo che non è mai arrivato all’appuntamento per il provino!”.
Nel film il tuo mentore è Antonio Capuano, regista con cui hai debuttato nel 1998 in Polvere di Napoli.
“In quel magma liquido che è la gioventù, in cui tutti sono irrilevanti, trovare qualcuno che diventa un riferimento è importante. Ma in realtà non era Capuano, il mio mentore: era Maradona, che quando segnava stava pensando a me! Capuano lo è stato dopo, ma non è stato proprio un mentore. Lui mi smontava qualunque iniziativa e qualsiasi convinzione, e non so per quale oscuro motivo questa cosa anziché demoralizzarmi mi ha galvanizzato”.
E’ stata la mano di Dio è uscito su Netflix, ma è stato proiettato anche in sala. Quale è oggi il rapporto tra cinema e piattaforme?
“E’ ovvio che è più bello vedere i film in sala. Però io credo che l’importante è che si vedano i film. Io riesco ad amare anche i film che vedo in piattaforma, purché li veda da solo: se si crea con il film il rapporto che si crea con il romanzo, allora va bene anche la televisione. Non sono forme alternative, ma complementari”.
Con The Young Pope e The New Pope sei riuscito a raccontare – attraverso una storia immaginaria – mille anni di storia della Chiesa, fino a profetizzare la cronaca di questi giorni. Ci sarà una terza serie?
“No, ho raccontato abbastanza. Finisco qui”.
Sceso dal palco dopo un incontro tanto breve quanto intenso, Sorrentino subisce un trattamento da vero divo, con siparietti surreali che sembrano usciti da un suo film. Protetto da un cordone di volontari viene circondato da una folla oceanica di fan che chiedono selfie, chiedono autografi, chiedono lavoro.
Si riconosco attori e attrici sconosciute, come una bionda che insegue il maestro – con tanto di bimbo in braccio – vantando l’amicizia con uno dei suoi collaboratori e ribadisce di voler lavorare assolutamente con lui. Un fiume umano si riversa per le strade di Trastevere scortando il regista e creando problemi di viabilità, tra automobili bloccate e taxisti inviperiti (con uno si sfiora la rissa); dai tavolini all’aperto delle trattorie si affaccia gente divertita: “Ma sei proprio famoso!” gli gridano, senza averlo riconosciuto. “Non quanto te!” risponde lui.
“Ti portiamo in processione come San Gennaro!” gli grida un altro. Come ci si avvicina a un Suv si sente mormorare: “Adesso fatelo entrare, però”, “E’ entrato?”, “No, sta ancora lì”. Ma non è quella, l’automobile che lo aspetta, e la processione prosegue.
Al secondo macchinone si ripete la scenetta: la folla aspetta che si apra lo sportello e il regista salga sul sedile posteriore, e invece quello continua a camminare, seguito dall’immensa corte. Passa l’ennesimo Taxi. Sarà il suo, dice qualcuno. E invece niente, il biografo di Andreotti e Berlusconi (che – peraltro – ha recitato nel Caimano di Moretti) continua per la sua strada. Passano altri due, tre, quattro macchinoni, macchine, macchinette. Ma nessuna è la sua.
Arrivati quasi a viale Trastevere Paolo si avvicina a uno scooter, apre il bagagliaio, ne estrae un casco e lo indossa. Nessun autista, nessun Suv. Il Divo sale sul motorino e parte salutando la folla che lo lascia passare aprendosi come il Mar Rosso.
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