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“Io Capitano” visto con gli occhi di un africano

Credit: Niccolò Barca

La Fondazione Cinemovel ha portato il film di Matteo Garrone negli angoli più remoti del Senegal. Alle proiezioni hanno partecipato anche i protagonisti della pellicola. Che in questo colloquio raccontano a TPI come è stato mostrare il dramma dei migranti a chi rischia di viverlo

Di Antonio Scali
Pubblicato il 14 Giu. 2024 alle 16:38

Una moderna odissea, il sogno di due ragazzi come tanti che vogliono potersi spostare liberamente, migliorare le proprie condizioni di vita, scoprire l’Europa. La durissima traversata del deserto, le torture nei centri di detenzione in Libia, le insidie del mare.

C’è questo e molto altro in Io Capitano, il film di Matteo Garrone candidato agli ultimi Oscar che racconta in maniera inedita il dramma dell’immigrazione clandestina dal continente africano, accompagnando lo spettatore in tutte le fasi di questo “viaggio”, osservato dal punto di vista dei migranti, veri eroi contemporanei. Una pellicola potente e necessaria, che grazie alla carovana di cinema itinerante promossa dalla Fondazione Cinemovel è stata portata nelle città, nelle periferie, nelle scuole e nelle comunità più remote del Senegal, in quei luoghi cioè dove sono nate le storie che hanno ispirato il film. 

Il tour si è svolto dal 15 al 27 aprile, toccando tappe importanti come Dakar, Kolda, Sédhiou, Thiès e Mboro. Il cinema, dunque, come mezzo di incontro, discussione e cambiamento culturale. All’iniziativa hanno preso parte i giovani attori del film Seydou Sarr, Moustapha Fall e Amath Diallo. Con loro anche il mediatore culturale Mamadou Kouassi, la cui storia ha ispirato la sceneggiatura di Io Capitano

Per voi è stata la prima esperienza importante da attori. Come siete stati scelti da Garrone? Cosa ha rappresentato per voi questo film?
«Abitavo a Thiès – ci racconta Seydou Sarr – e ho partecipato al provino nella mia città. Non avevo mai recitato prima, per cui sono stato molto felice di aver superato quel primo casting. Poi ne ho fatto un altro a Dakar, e lì ho incontrato Moustapha, l’altro protagonista. Siamo stati scelti insieme. Questo film mi ha cambiato la vita. Mi ha permesso di scoprire cose che non conoscevo e incontrare persone che hanno fatto realmente quel viaggio. Questa probabilmente è la cosa che mi ha motivato di più nell’interpretazione del mio personaggio. Un’esperienza che mi ha fatto crescere e spero di avere altre opportunità per fare ancora del cinema». 

«Io ero un attore di teatro – ci dice Moustapha Fall – questa pellicola mi ha permesso di conoscere le storie di tanti migranti che hanno fatto quella traversata e soprattutto mi ha dato l’opportunità di essere la voce di chi non ha voce. Garrone ci ha molto motivati e sostenuti, vista la difficoltà del ruolo che dovevamo interpretare». 

«Anche se la mia è una piccola parte – confida Amath Diallo – questo film ha rappresentato molto per me non solo come attore, ma anche perché mi ha dato la possibilità di studiare post-produzione. Ma soprattutto Garrone e la sua squadra vanno ringraziati perché hanno deciso di mettere in scena le storie di chi ogni giorno perde la vita durante quel viaggio». 

Quanto ne sapevate di questa odissea spesso drammatica che affrontano i migranti prima di girare il film?
«Prima di Io Capitano non avevo conosciuto nessuno che avesse compiuto questo viaggio per raggiungere l’Europa. Ho potuto incontrare persone di nazionalità diverse, tutte accomunate dalle stesse motivazioni e da comuni desideri che li hanno spinti a partire», sottolinea Seydou. 

Quali sono state le scene più difficili da girare?
«Sicuramente la scena più forte emotivamente è stata quando eravamo in Marocco e una donna moriva tra le mie braccia. Per me è stata molto dura perché mio padre era morto poco prima nello stesso modo, per cui non era solo un’emozione dettata dalla finzione, ma reale. Infatti quella scena è stata buona la prima», spiega Seydou. 

Mamadou, lei è arrivato in Italia nel 2007, in fuga dalla Costa d’Avorio. Ora è un attivista e mediatore culturale, portavoce del Movimento Migranti e Rifugiati di Caserta. La storia della sua traversata via mare ha ispirato Garrone nella scrittura di questo film.
«Era importante raccontare tutto il percorso del viaggio. Normalmente dall’Europa vediamo solo la parte finale, quando attracca il gommone, ma non si immaginano tutti gli ostacoli e le difficoltà precedenti. Non ci sono solo i pericoli del mare, ma anche l’attraversamento del deserto del Sahara, il più grande del mondo, dove purtroppo muoiono molte persone. Per non parlare delle torture che avvengono nelle prigioni libiche, come fa vedere questo film. Io Capitano racconta la complessità di questo viaggio, che per molti è senza ritorno, facendo emergere la sofferenza umana e spirituale di chi lo affronta. Io sono un sopravvissuto: questa pellicola può essere uno strumento per far conoscere la realtà dell’immigrazione». 

Quanto può essere utile portare il film nelle varie parti dell’Africa, come state facendo con questa carovana?
«Abbiamo incontrato persone di tutte le età, avendo un ottimo riscontro», racconta Mamadou durante questa esperienza in Senegal. «Molti ragazzi che hanno visto il film ci hanno detto che non partiranno più, perché si sono resi conto della durezza del viaggio. Stiamo cercando di portare quest’opera nelle nostre città, grazie a Cinemovel, per sensibilizzare in particolare i giovani. Bisogna dare loro un’alternativa e fare in modo che non vivano certe sofferenze. C’è poi anche il tema del commercio di esseri umani. La politica deve intervenire concretamente per garantire alle persone il diritto di muoversi liberamente. Ci vuole, inoltre, un percorso di formazione per i ragazzi, una volta finita la scuola. Non tutti vogliono lasciare il proprio Paese per andare in Europa. Devono essere garantiti gli stessi diritti dei giovani delle altre parti del mondo. Un europeo può venire tranquillamente in Africa, mentre noi non possiamo viaggiare. È ingiusto». 

«Cinemovel è nato nel 2001 con un progetto che ha portato il cinema per sei mesi in tutto il Mozambico, in zone in cui non c’era mai stato. Il nostro obiettivo è quello di portare le storie dove sono nate, permettendo l’accesso alla cultura», racconta Enzo Bevar di Cinemovel.

«Questa carovana in Senegal nasce dall’incontro con Matteo Garrone. Io Capitano è un film girato integralmente in wolof, con protagonisti giovani attori senegalesi. Inizialmente ci chiedevamo quale sarebbe stata la reazione del pubblico africano: quello che ci sta stupendo è che dopo la proiezione si crea un lungo dibattito, perché tante persone vogliono saperne di più o condividere la propria esperienza di viaggio. Si parla tanto di ingiustizia, di futuro e anche della possibilità di trovare delle alternative per spostarsi senza mettere a rischio la vita. Il film, quindi, diventa uno strumento di sensibilizzazione e informazione. Il tema dei migranti per anni è stato tabù nel Paese: un padre dopo aver visto la pellicola mi ha detto di aver capito che non si può far finta di niente, e che bisogna parlarne con i figli. Questi ragazzi partono per cercare un riscatto, anche per le loro famiglie, ma non può certo essere questo il modo. L’immigrazione è vista come una tematica divisiva: il grande merito di Garrone – conclude Bevar – è stato quello di non giudicare nessuno. Tutti possono rivedersi in questa storia, perché non sono colpevolizzati».

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