Il mondo del cinema italiano, da sempre, sforna talenti: attori, registi, sceneggiatori e compositori che con le loro musiche hanno fatto e fanno sognare gli spettatori. Musicisti a tutto tondo in grado di emozionare con le loro note. Tra quelli emergenti c’è Lorenzo Ceci, giovane compositore romano che ha firmato le colonne sonore di tanti film indipendenti, tra i quali il docu-film Virginia Bellizzi, “Oltre la Valle” (presentato in anteprima al 41^Torino Film Festival), “L’anno dell’uovo” di Claudio Casale andato alla Biennale College e tanti altri.
“Ho fatto tutto il percorso classico: cortometraggi accademici e meno. Tra questi “Shero” diretto da Claudio Casale che è entrato nella cinquina per i David di Donatello nel 2021. Non sono figlio d’arte. Dopo il liceo, ho fatto il conservatorio. Ho iniziato come chitarrista, ho fatto il triennio, poi mi sono dedicato alla composizione Jazz. Dopo un esame, anche su consiglio dei professori, ho virato sul cinema e mi sono formato sulla musica da film. Ho seguito diversi corsi specifici. Devi saper far tutto, in particolare quando lavori per progetti low budget o indipendenti. Quindi mi sono fatto tutti i corsi specifici per perfezionarmi e imparare a fare al meglio i vari passaggi che magari nei grandi progetti, dove girano più soldi, vengono demandati ad altre figure”.
“Dipende da quando entri nel progetto. In alcuni casi sono entrato fin dall’inizio, in altri in corso… Per noi giovani non è semplicissimo trovare i lavori. Non abbiamo manager come gli attori. Spesso prendi un prodotto già girato e ci lavori sopra. In altri casi, come per esempio nel film che è andato alla Biennale di Claudio Casale (“L’anno dell’uovo”), sei più fortunato. In quel caso sapevo dall’inizio che avrei fatto le musiche e quindi l’ho preso dalla sceneggiatura e mi sono andato a seguire tutte le fasi, cosa che mi piace di più. Vado sul set, vedo, seguo… Dalla sceneggiatura ti fai un’idea, poi il set, il montato ecc”.
“Questa cosa è bellissima e la faceva Leone con Morricone. Però è molto difficile. La maggior parte delle volte ti trovi a lavorare con le reference. Tu proponi delle idee al regista, in alcuni casi vengono accettate, in altri cambiano. Io lavoro strettamente sull’immagine. Quello di partire dalla musica è un discorso più poetico che si faceva soprattutto prima. Comunque dipende anche dal prodotto. La reference è un punto di partenza per poi fare altro. Capita però che magari il regista vuole la reference e basta…”.
“E’ stato un bel processo creativo. Ho avuto uno scambio continuo con Virginia, la regista. Abbiamo lavorato anche con le reference ma per capire il mood che voleva. Noi abbiamo voluto usare la musica per dare una chiave di lettura in più. Abbiamo usato musica “artificiale” per descrivere principalmente il concetto del paradosso del confine. Poi abbiamo inserito il lato diciamo più “dolce” e caldo della musica che è la canzone dei bambini che viene più volte riproposta e strumenti più “reali” che descrivono la parte più umana/umanitaria. Con la regista musicalmente abbiamo cercato di restituire la tensione dello stare in bilico sul confine, e anche il surrealismo delle linee di confine, che sono mutevoli a seconda del punto di vista. C’e’ anche la spinta verso la speranza di “oltrepassare””.
“Il sogno in generale è che venissero valorizzati i giovani in questo settore. Ci sono tanti giovani compositori che meritano. All’estero c’è un regista che mi piace molto che si chiama Lukas Dhont che ha fatto il film Close e si è affiancato a un giovane compositore di nome Valentin Hadjadj. Bravissimo… Ecco mi piacerebbe avvenisse di più anche nel nostro Paese. In Italia c’è difficoltà ad emergere”.
“Personalmente vorrei fare dei film belli. Film che mi permettano di lavorare bene”.
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