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Il figlio di Bud Spencer: “Mangiava fino a due chili di pasta. Terence Hill? Non sapevano come prendersi”

Di Niccolò Di Francesco
Pubblicato il 6 Gen. 2024 alle 14:18

Il figlio di Bud Spencer: “Terence Hill? Non sapevano come prendersi”

A quasi otto anni dalla morte di Bud Spencer, nome d’arte di Carlo Pedersoli, uno dei tre figli dell’attore, Giuseppe, 62 anni, sceneggiatore e produttore per cinema e tv, rivela alcuni lati inediti del papà.

Intervistato dal Corriere della Sera, Giuseppe Pedersoli ricorda: “Se era papà ad accompagnarmi a scuola, finiva che in classe non ci arrivavo mai. ‘Tanto che ci vai a fare?’ E mi portava in gita all’aeroporto dell’Urbe o alla scuola di aviazione di Foligno, al porto di Fiumicino o alla concessionaria Mercedes”.

Nonostante il successo, però, Bud Spencer parlava poco dei suoi impegni professionali: “Del lavoro di attore parlava poco, con distacco, come se ogni film potesse essere l’ultimo. E invece arrivò a 100”.

Sul rapporto con Terence Hill, con il quale Bud Spencer ha formato uno dei sodalizi artistici più famosi del cinema italiano, Giuseppe rivela: “Papà lo chiamava Mario — l’unico a poterlo fare — lui Carlo. Fuori dal set erano due grandi timidi che non sapevano bene come prendersi. Terence è buono e gentile, però molto introverso. E poi, quando non lavorava, viveva negli Stati Uniti. Saranno usciti a cena insieme tre volte in vita loro. Ogni tanto veniva da noi per la spaghettata di mamma. In scena invece si trasformavano, tra loro c’era emozione vera, si creava un’armonia perfetta”.

Bud Spencer era un gigante: “Un metro e 92 per 120 chili, poi saliti a 165. Da giovane era bellissimo, poi si è lasciato andare, ma aveva analisi perfette. Non dava affatto l’idea di un ciccione, piuttosto di un uomo molto forte”.

La dieta, però, non per lui: “Partiva sempre con un carico di spaghetti, olio e pomodori. Una volta li ha conditi con i cornflakes. La sua roulotte era affollata, cucinava la sarta Ida. Se gli facevi due kg di pasta poteva mangiarseli tutti. Andò da Messeguè, in Svizzera. Gli presentarono un vassoio con due pere cotte. Al che saltò dalla finestra del primo piano e scappò in rosticceria. La seconda volta gli fecero pagare dieci giorni in anticipo, resistette due. La famosa sera di Italia-Germania 4 a 3, con il produttore Italo Zingarelli, 180 chili pure lui, si fecero fuori 60 polpette e non so quanti filetti di baccalà”.

Giuseppe racconta anche che il padre era un amante dell’avventura: “Era capace di dire a mamma: ‘Non torno per pranzo’ e partire per una transvolata oceanica. Una volta bussarono alla porta due svedesi. ‘Suo marito è naufragato ma dice di non preoccuparsi, torna presto’. Riapparve dopo 4 giorni”.

E sulla sua morte: “Puoi anche avere Superman come padre, ma arriva il momento in cui lo vedi diventare fragile. Quando ha capito che non poteva più giocare, si è lasciato andare. Non c’è da sette anni però è come se si fosse ‘virtualizzato’. È ancora qui. Sentiamo il suo passo, il vocione, il profumo, una sera sì e una no lo vediamo in tv. Non era un santo o un divo, ma uno di famiglia. La sua ultima parola fu: ‘Grazie'”.

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