The Chicago Machine
Racconta David Remnick in ‘The Bridge. The Life and Rise of Barack Obama’ che fu Douglas Baird della University of Chicago il primo a intuire le potenzialità di Obama. Nell’estate del ‘91 Baird, incuriosito dal personaggio, il primo afroamericano ad aver diretto la Harvard Law Review, propone a Obama di trascorrere un’estate alla Law School per finire il suo libro sui Voting Rights. Barack accetta, ma il libro diventa ‘Dreams from My Father’, la sua prima autobiografia.
È il primo dei tanti casi in cui Obama magicamente sfrutta un’occasione per dare una svolta al suo destino. Un’altra gli si presenta nel 2000 quando è nettamente sconfitto dalla pantera nera Bobby Rush. Michelle, la moglie, lo mette davanti a un bivio: o vinci la prossima volta o lasci la politica. Barack non se lo fa ripetere due volte e intraprende la marcia di successo che lo porterà alla presidenza.
D’altronde l’uomo ha pelo e contropelo e si è formato nella ‘Chicago Machine’ dei Daley che hanno governato la città per oltre 40 anni. Nel suo famoso libro ‘Boss’, il mitico reporter Mike Royko racconta l’incontro fra un cittadino che chiede di essere assunto e il sindaco Richard Daley. “Who sent you ?” “Nobody “ “We don’t want nobody nobody sent”. Come a dire o appartieni al giro o sei fuori. Meglio di Al Capone.
Anche l’entourage di Obama non scherza. Basta pensare a Rahm Emanuel, detto ‘Rambo’ per la sua durezza con gli avversari politici, storico braccio destro di Obama, da un anno sindaco di Chicago. All’epoca della sua campagna elettorale girava un fantastico falso account di twitter con il suo nome @MayorEmanuel. Il sottotitolo: “Your next motherfucking mayor. Get used to it. Assholes”. Un vero programma.
Fa quindi sorridere l’ultimo libro di Bob Woodward, ‘The Price of Politics’ che racconta un Obama profondamente elitario, isolato a Washington, che non ama trascorrere tempo con i colleghi del Congress: “He doesn’t like to play the game”. Whether he likes it or not, it’s four more years.