Ci si sveglia presto a Khartoum, per godere delle prime ore del giorno, le più fresche. La città, infatti, è tra le più calde al mondo, con una temperatura media di 37 gradi.
Mentre si versa un bicchiere di caffè sudanese dalla jebena, la caraffa dal collo alto, ci si accorge che tutti usano la stessa ‘furbizia’. Le strade principali sono già affollate, e le persone, giovani e meno giovani, si confondono tra le auto e gli autobus che transitano senza alcuna regola apparente. La maggioranza è africana e nella folla emergono spesso figure altissime in abiti occidentali (tshirt e pantaloni) o ancora più nere nel contrasto con le tuniche bianche di fattura araba dei più tradizionalisti, jellabiya, o con i lunghi drappi detti galabieh, completi di un turbante bianco, o qualcosa di simile, e gli occhiali da sole scurissimi.
Il quartiere a sud del Nilo Blu è dove si concentrano le residenze per i turisti e gli uomini di affari in transito, i diplomatici e gli operatori di UN e ONG che portano un po’ di conforto nelle aree martoriate dalla guerra, Darfur, Monti Nuba e Sud Kordofan.
Souq al Arabi, invece, è il cuore pulsante della città.
Girare al Souq è immergersi in un grande bazar all’aperto, tra bancarelle di sandali, vestiti, sigarette e bottiglie di Coca-Cola, altre di ceste colme di spezie, frutta e verdure locali, in una galleria di verde, giallo e arancione, prodotti tipici che fanno bella mostra di sé davanti a donne che indossano leggeri chador dai colori tenui, artigiani indaffarati, rivenditori di ricariche di telefonia mobile, diligentemente in attesa del cliente dietro al loro banchetto improvvisato. Si agitano, invece, i giovani intraprendenti con le tshirts dei soccer club italiani e inglesi, con le loro spremute e i frullati freschi. Incuriosisce la “chai lady“, la donna del the, seduta accanto al bollitore a gas e ai cofanetti di spezie, che offre the e caffè per pochi centesimi a tazza.
Ci vuole un po’ a capire che Khartoum è anche e soprattutto questo, milioni di persone che vivono la loro città, e la sicurezza complessiva del centro rende difficile immaginare che in altre parti dello stesso Paese si possa combattere.