L’affaire Edward Snowden – il giovane tecnico che ha svelato al mondo l’esistenza di una rete di sorveglianza globale americana – oltre a segnare la fine dell’idillio Obama, ormai trasfigurato nell’opinione pubblica mondiale in un Grande Fratello 2.0, mettono in discussione un ventennio di politica di difesa statunitense. Una politica che ha fra i suoi pilastri quello della privatizzazione delle attività militari.
Edward Snowden, infatti, è un contractor: un privato cittadino, impiegato della Booz Allen, una compagnia fornitrice di servizi tecnologici assoldata dal governo statunitense per attuare il controverso progetto PRISM.
L’utilizzo di compagnie private per svolgere mansioni militari è negli Stati Uniti una pratica che risale all’amministrazione Reagan, e che si è consolidata nell’era di George W. Bush. I “nuovi mercenari” sono già finiti sotto i riflettori in varie occasioni, quasi sempre per spiacevoli episodi nei teatri bellici dell’Afghanistan e dell’Iraq (a Baghdad, nel 2007, i dipendenti della compagnia Blackwater aprirono il fuoco in una piazza uccidendo 17 civili).
Fino a oggi, dei rischi di privatizzare l’intelligence si era parlato meno. Sbagliando, perché si tratta di un settore che gli Usa affidano sempre più spesso ai privati (in possesso di migliori conoscenze informatiche), e perché oggi le guerre si fanno più dietro uno schermo che dietro un mitra. Nell’America del dopo-Snowden, l’argomento non potrà più essere eluso.
Nonostante la Booz Allen si sgoli a spiegare che i suoi impiegati vengono sottoposti a controlli rigidissimi, resta il fatto che ci sono in giro decine di migliaia di privati che hanno accesso a informazioni e segreti che per Washington sono vitali. Non sono soldati: non hanno l’addestramento, la forma mentis, la lealtà che si presume un militare abbia. (Il “si presume” lo impongono il soldato Bradley Manning e Wikileaks). Non sono neanche agenti segreti della CIA. Sono ingegneri che portano a casa la pagnotta spiando miliardi di persone per conto della Casa Bianca. Potrebbero cambiare principale da un giorno all’altro, finendo sotto contratto in imprese che lavorano per il governo russo, o cinese, o iraniano. E provocando all’America danni molto più gravi della spifferata idealistica, e per certi versi sacrosanta, del giovane Snowden.