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La cultura dell’impunità

In Somaliland una bambina si è tolta la vita dandosi fuoco dopo l'assoluzione del suo stupratore

Di Action Aid
Pubblicato il 4 Mar. 2015 alle 15:35

Una bambina di 11 anni originaria della regione di Sanag, in Somaliland, ha deciso di togliersi la vita dandosi fuoco in seguito a un episodio di stupro.

Tre mesi più tardi, il suo suicidio è stato archiviato dalla polizia locale come incidente.

La vicenda, dapprima tenuta riservata per consentire lo svolgimento delle indagini e garantire la sicurezza della madre della vittima, è stata diffusa da ActionAid in accordo con la famiglia e la comunità locale per fare luce su questo tragico atto di violenza.

La cultura dell’impunità è la causa primaria dell’esacerbazione della situazione; in seguito al suicidio della bambina, nella capitale del Sanag, Erigavo, centinaia di donne sono scese in strada, gridando la loro rabbia.

Siamo furiose. Il punto di non ritorno è iniziato oggi” ha dichiarato Hodan Gurey, portavoce della Coalizione delle donne di Erigavo. La violenza e gli abusi sulle donne continuano ad aumentare. Una società sana non permette che le sue figlie vengano stuprate.”

Il numero di stupri riportati, solo nella prima metà del 2013 dal Sexual Assault Referral Centre (SARC) di Hargeisa, la capitale del Paese, è di 112. Di questi, 67 riguardano minori di 15 anni.

Un esempio lampante di violazione dei diritti delle donne e discriminazione è il perpetuarsi della pratica delle mutilazioni genitali femminili: la Somalia è il Paese con la più alta incidenza della pratica nel mondo (98%).

L’indice di ineguaglianza di genere è dello 0,78 (dove lo 0 indica la completa uguaglianza tra i generi e l’1 la totale diseguaglianza).

In Somaliland la situazione è simile, con circa il 94,8% delle donne e delle bambine sottoposte alla mutilazione.

Hoodo (nome di fantasia) prima di suicidarsi ha combattuto per mesi contro le pesanti conseguenze fisiche e psicologiche che il brutale stupro commesso da un uomo di 28 anni le ha lasciato il 6 Settembre 2014.

Parlando della violenza subita agli operatori ActionAid, che l’avevano seguita per le cure mediche e durante tutte le fasi del processo, Hoodo raccontava: “Stavo raccogliendo la legna quando un uomo è arrivato alle mie spalle e mi ha colpita. Sono caduta per terra e lui mi ha coperto la testa con un cappotto, così le mie urla non si sarebbero sentite.

Come la maggior parte delle bambine e ragazze in Somaliland, Hoodo era stata precedentemente sottoposta a mutilazione genitale femminile.

Per questo l’uomo aveva dapprima usato un coltello per incidere l’infibulazione, e poi l’ha brutalmente violentata abbandonandola sanguinante nel letto di un fiume asciutto, e minacciando di tagliarle la testa se avesse detto a qualcuno quello che era successo.

Non riuscivo nemmeno a camminare, ho strisciato fino a casa testimoniava Hoodo “Mi ha trovata mio cugino, che è corso a chiamare mia madre al mercato, dove vende prodotti alimentari”.

La madre portò immediatamente Hoodo all’ospedale che però si rifiutò di curarla senza una lettera di deferimento da parte della polizia.

In Somaliland, infatti, c’è una forte tendenza ad accusare e ostracizzare le vittime di stupro. Quando finalmente la bambina fu accettata e poté farsi esaminare, il medico confermò che non solo aveva subito uno stupro, ma che le era anche stata provocata una fistola.

La clinica più vicina che poteva guarire Hoodo dalla fistola si trova a Borama, a circa 750 chilometri dal Sanag. Per Hoodo e la sua famiglia, come per tutte le altre vittime, gli effetti della violenza sessuale sono spesso devastanti, oltre che fisicamente e mentalmente, anche da un punto di vista economico.

Non sempre, infatti, le famiglie delle vittime riescono a permettersi le cure necessarie e le spese legali per avere giustizia. Tornate nel Sanag, la madre di Hoodo, con il sostegno di ActionAid e SCDO (Solidarity Community Development Organization), è riuscita a portare in tribunale il caso di sua figlia.

Il colpevole è stato arrestato e condannato a 8 anni di prigione. Nonostante l’uomo meritasse un pena molto più severa, per la madre di Hoodo, considerando il contesto e il sistema in Somaliland, si è comunque trattato di una vittoria. Il sollievo, però, è durato poco: poco dopo la Camera degli Anziani della comunità ha rilasciato lo stupratore.

In Somaliland, infatti, coesistono tre sistemi legali: la civil law, la legge islamica (Shari’a) e la Xeer, ossia il diritto consuetudinario.

Nel Paese la violenza di genere, anche domestica, è estremamente diffusa, ma continua a non essere affrontata nei tribunali ordinari. La maggior parte dei casi di violenza contro le donne viene infatti giudicata applicando il sistema consuetudinario della Xeer, in cui le Camere degli Anziani assumono il ruolo di giudici.

A causa delle molteplici interferenze delle comunità e della tendenza dei giudici a minimizzare e sottostimare la gravità delle violenze sessuali, le vittime sono spesso spinte ad accettare compensazioni ingiuste e inadeguate o addirittura a sposare gli uomini che hanno usato loro violenza.

Il padre di Hoodo, convivente con la seconda moglie con cui si è risposato tempo addietro, ha raggiunto Sanag per negoziare con gli anziani. Alla fine ha accettato un risarcimento di 400 dollari, e in cambio ha acconsentito alla liberazione dell’uomo che ha violentato sua figlia.

A metà gennaio, la bambina stravolta da quanto vissuto negli ultimi mesi, si è tolta la vita dandosi fuoco e la polizia a fine mese ha archiviato la sua morte come incidente. Gli operatori ActionAid non si sono arresi, e seguono ancora il percorso della giustizia.

Tutte le maggiori organizzazioni rimangono concordi sul fatto che, in questa striscia di territorio semideserto, affacciato sul Golfo di Aden, la situazione dei diritti delle donne rimane critica.

Nonostante le donne possano lavorare, possedere terra e fare attività sociali, la politica resta prerogativa degli uomini. Solo un parlamentare sui 164 di entrambi le Camere è donna; e sono solo tre i Ministri donna sui 40 membri del Gabinetto.

Non c’è nessun giudice donna in tutto il Paese. Nessuna posizione nei vertici delle più importanti istituzioni governative. Anche l’impiego nel settore terziario è di fatto precluso: ci sono addirittura aziende che per regole interne non assumono donne.

Il National Women’s Network, insieme ad altre organizzazioni della società civile, tra cui anche ActionAid,  stanno da anni cercando di cambiare la legge elettorale per l’introduzione di quote rosa (il 20%) nal Parlamento nazionale, come avviene in altri Paesi del continente africano.

 

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