Giornata spesa a seguire e raccontare gli eventi. Le riflessioni arriveranno..ma con più calma.
Oggi trovate sul Messaggero i miei pezzi, un’intervista a Karim Mezran e un articolo sull’intervento a gamba tesa negli eventi egiziani del premio Nobel per la pace, Tawakkul Karman che paragona il presidente deposto Mohammed Mursi a Nelson Mandela. L’ho scritto il mese scorso, ma lo ripeto ora. Solo questa crisi avrebbe potuto trasformare la ruota di scorta della Fratellanza Musulmana ( perché Morsi non è stato la prima opzione scelta dalla Confraternatia per correre alle prime presidenziali del post-Mubrak) in un eroe. Nulla contro Karman, donna il cui coraggio è ammirevole e l’ impegno politico d’esempio, ma il paragone tra Mursi e Mandela proprio non regge. Crolla del tutto poi quando Karman descrive l’Egitto come un Paese dove libertà di stampa e di espressione sono state garantite dall’arrivo degli islamisti. Chi in Egitto ci lavora, sa, come scrive Adel Iskander, che il Cairo non è una capitale per giornalisti.
La conta dei morti di oggi la lascio fare ad altri, ma so che non sarà semplice sapere cifre e nomi precisi, visto che la lotta sulle cifre ha raggiunto il suo apice. Pero ogni morto dichiarato dalle autorità egiziane la Fratellanza ne conta 10.
Le immagini che continuano a invadere i nostri schermi parlano chiaro, ma non svelano tutto. Non raccontano gli altri tentativi di sgombero da parte dei militari di quei sit in che sono iniziati il 28 giungo scorso. Sorvolano sui tentativi di negoziazione, gestiti dall’esercito e mediati da alcune potenze internazionali, miseramente falliti nelle ultime settimane. Non ci spiegano che se l’Egitto è arrivato a questo è anche perché il presidente democraticamente eletto ha instaurato una dittatura della maggioranza. Nel farlo è andato a braccetto con quell’esercito che lo ha infine deposto e che sin dall’inizio ha imposto una tabella di marcia troppo serrata alla transizione, facendo deragliare il futuro dell’Egitto post Mubarak sin dai primi giorni. Le violente immagini di oggi non fanno che confermarci quello che da tempo raccontiamo. Siamo davanti a due schieramenti che credono di essere entrambi legittimati a governare. Il fronte islamista crede che il suo potere derivi dalle urne. L’opposizione civile sostenuta dall’esercito e dai superstiti del vecchio regime pensa che il popolo, scendendo massicciamente in strada contro un Mursi illiberale, gli abbia dato l’investitura a destituire il presidente. Nel tempo queste due strade si sono divaricate e, violenza dopo violenza, estremizzate.
Era impossibile pensare che la Fratellanza avesse lasciato i sit in di protesta mentre il suo leader è nelle mani dei militari. Era complesso immaginare uno sgombero pacifico di quelle piazze- accampamento che da più di un mese gridavano contro i militari. Gli analisti possono anche fare luce sugli aspetti che vogliono per sostenere la loro tesi, ma i giornalisti dovrebbero fare il possibile per raccontare tutta la verità, non solo quella che gli è comodo vedere o che gli viene raccontata. Chi si è preso il fastidio di andarli a visitare i sit-in degli islamisti, sa bene che di armi ce ne erano non poche. Chi ha amici egiziani che appartengono al fronte non islamista è probabile che negli ultimi mesi si sia sentito dire che gli islamisti dovevano essere eliminati dalla scena politica. Che piaccio o meno, questo è quello che si vede e si sente attraversando il Cairo in lungo e in largo.
Su queste immagini c’è poco altro da dire per ora, ma anche in questo bombardamento mediatico mi sembrano sfuggano due tasselli che è importante tenere in considerazione sin da ora. Alla vigilia della loro ultima operazione, i militari hanno poi sostituito 25 governatori. 14 sono propri ufficiali e 4 poliziotti. Anche questo è un indicatore che serve a capire dove va il Paese, soprattutto se si pensa ai poteri che i governatori hanno sulla popolazione locale. A sgombero terminato, i militari hanno imposto lo stato di emergenza. Hanno annunciato che durerà solo un mese, ma c’è da supporre che questa promessa sia procrastinata nel tempo, facendo ricadere l’Egitto nel baratro dei suoi giorni più neri.
Chiudiamo riportando la lettera di dimissioni di Mohammed el-Baradei che si era presentato come l’uomo che doveva tenere insieme il Paese, convincendo la comunità internazionale che quello in corso non era un golpe e che preferisce uscire di scena dopo neanche un mese nel suo incarico di vice premier. È stato l’uomo che ha cercato fino alla fine un’alternativa allo spargimento di sangue di queste ultime ore. La sua voce è suonata stonata ai militari che capiscono soprattutto i discorsi violenti.
“I hereby render my resignation from the Vice President Office, praying God Almighty to safeguard our beloved country, help the people achieve their aspirations and maintain the gains of the Jan 25 Revolution, as emphasised by the June 30 outcry, for which great sacrifices were made for a freedom, democracy, social justice and respect to human rights, good governance, societal harmony, and total equality among all citizens without any discrimination or marginalisation. I contributed with all my power and continued to call for these principles prior to Jan 25 and thereafter; and I will remain loyal to the homeland, whose security and stability, I believe, can be achieved only through national conciliation and social peace by establishing a civil state, steering away from forcing religion into politics, yet embracing its principles and values in all domains of life. However, the groups taking religion as a screen, attracting the public by their twisted interpretation of religion, until they managed to hold the reins of power for a year, the worst of all years in Egypt’s history, where the policies of manipulation, domination, and marginalisation together with media incitement caused division among the people. I had hoped the rise of the people on June 30th could bring the country to back its normal course towards realising the goals of the Revolution, which caused me to heed the call of patriotic forces to take part in the rule; however, the course has been deviated from, reaching this state of polarisation and grave division, and the social fabric is threatened as violence breeds violence. As you are aware, I always saw peaceful alternatives for resolving this societal wrangling, certain solutions were proposed, which could have led to the national conciliation, but things have come this far. Out of experience, reconciliation will inevitably be achieved, yet after paying a heavy price, which, I believe, could have been spared. It has become difficult for me to continue bearing the responsibility for decisions at which I do not agree, and I fear their consequences; I cannot bear the responsibility for single drop of blood before God, before my own conscience or citizens. Regretfully, what happened today is only in the interest of advocates of violence, terrorism, and extremist groups; and those words of mine will be recalled one day; and ‘I confide my cause unto Allah.”
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