La sera del 17 agosto ai Mondiali di atletica di Mosca la staffetta russa della 4×400 (composta a sorpresa da Yuliya Gushchina, Tatyana Firova, Natalya Antyukh, Kseniya Ryzhova) ha conquistato la medaglia d’oro soffiandola alle favorite americane. Le ragazze, incontenibili si felicitano a vicenda baciandosi e abbracciandosi.
Sul podio la scena si è ripetuta, ma un’immagine immortalata dai fotografi è subito apparsa molto ambigua. Il bacio scambiato da Yuliya Gushchina e Kseniya Ryzhova infatti sembrava andare oltre alla tradizione russa di salutarsi scambiandosi baci sulle labbra anche perché le compagne di squadra avevano uno sguardo sorpreso per non dire basito.
Il video della cerimonia, tuttavia, ha sgonfiato il caso. Dietro al bacio delle due atlete russe non pare esserci un significato politico esplicito. Se però è bastata un’inquadratura particolare per insinuare il sospetto di essere di fronte alle John Carlos e Tommie Smith del XXI secolo significa che la questione politica delle “leggi anti-gay” volute dal governo russo è ormai entrata nell’arena sportiva e rischia di restarci almeno fino alle Olimpiadi invernali di Soci del 2014.
Dietro alla formula di “vietare la propaganda omosessuale fra i minorenni” lo Stato russo, pur non proibendo espressamente l’omosessualità, sta attuando una vera e propria politica discriminatoria omofoba atta a limitare notevolmente le libertà delle persone non eterosessuali in territorio russo. La concomitanza con diversi grandi eventi sportivi in territorio russo (Mondiali di Atletica 2013, Olimpiadi invernali 2014, Mondiali di Calcio 2018) ha fatto il resto.
Sotto l’azione di gruppi della società civile è cresciuto un movimento che chiede il boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Soci previste per il 2014. La Carta Olimpica, del resto, vieta qualsiasi discriminazione compresa, ovviamente, quelle relative alle preferenze sessuali. Preoccupato da questa evenienza il CIO ha immediatamente dichiarato che gli atleti e i tifosi saranno esentati dalle “leggi anti-gay”.
Eppure al di là di questa inevitabile presa di posizione, senza la quale la campagna per il boicottaggio finirebbe per essere ancor più legittimata, l’atteggiamento del Comitato Olimpico Internazionale non potrebbe essere più favorevole alla visione di Putin. Di fronte alla richiesta di garantire spazi sicuri o Pride House per gli atleti LGBT e alla possibilità che la bandiera dell’arcobaleno, simbolo dell’orgoglio gay, sia usata nel corso della cerimonia d’apertura, il CIO si è barricato dietro alla celeberrima Rule 50. Secondo questo passaggio della Carta Olimpica: “Nessuna dimostrazione di propaganda politica, religiosa o razziale è permessa nei siti e nelle aree olimpiche”. Definendo qualsiasi espressione di omosessualità “propaganda politica”, il principio di apoliticità dello sport si trasforma così a sua volta uno strumento politico attraverso il quale la politica del paese ospitante viene sostanzialmente difesa.
Portare un simbolo color arcobaleno in un paese fortemente omofobo diventa, di conseguenza, un gesto di resistenza e di dignità politica ed è bello notare alcuni atleti impegnati ai Mondiali di atletica hanno già preso posizione. L’ottocentista Nick Symmonds ha dedicato il suo argento “a tutti i miei amici gay”, dichiarandosi apertamente contrario alle nuove legge omofobe russe. Alcune atlete svedesi come Emma Green-Tregaro e Moa Hjelmer si sono dipinte le unghie con i colori dell’arcobaleno per segnalare il loro dissenso. La campionessa di salto con l’asta Yelena Isinbayeva, invece, si è espressa pubblicamente in favore dell’azione del governo.
Loro malgrado Yuliya Gushchina e Kseniya Ryzhova hanno comunque segnato una strada. Di fronte alle leggi discriminatorie di un paese e all’atteggiamento nei fatti connivente dei massimi organi sportivi internazionali, un bacio fra due atleti dello stesso sesso (ancor più se eterosessuali) sul podio di Mosca o di Soci avrebbe un effetto più dirompente di qualsiasi boicottaggio.