Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.
Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.
Una casa automobilistica tedesca intitola una sua autovettura fuoristrada a “un popolo nomade del deserto”, usando una trascrizione alla francese (la “ou” che si legge “u”).
Quella parola indica dunque il riferirsi dei tedeschi a un Sahara popolato da coloni francesi.
La parola “tuareg”, però, non è di origine berbera, non appartiene a quel gruppo di lingue e dialetti parlati da quel particolare genere di nomadi del Sahara che generalmente chiamiamo “tuareg”, dei quali vediamo un “rappresentante” indicare la parola “touareg”.
“Tuareg” è una parola di origine araba dialettale e quella persona che indica quell’autovettura parla invece, probabilmente, il tamahaq o il tamasheq (chiedo venia su questo, non sono berberista): non si autodefinisce, nella sua lingua, “un tuareg”.
Quella persona sta praticamente ringraziando la Volkswagen per aver almeno provato ad avvicinarsi al Sahara.
Tanto più che da molto tempo ormai buona parte delle popolazioni berbere del Sahara non usano più i dromedari per spostarsi, ma appunto autovetture.
Quando il “sogno d’Oriente” torna indietro prende spesso strade impervie.
Una vera esplosione di immaginario etnolinguistico che dialoga, o prova a dialogare, in una faglia culturale che è impossibile da tracciare su una carta geografica.
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