È interessante il modo in cui Obama si sta muovendo di fronte al bagno di sangue siriano. Da un lato, le sue difficoltà sono palesi. L’ultimatum sulle armi chimiche appare sempre più un bluff mal riuscito. Il presidente ha ormai dovuto ammettere che tali armi sono state usate, ma è evidente che non ha nessuna voglia di imbarcarsi in un’ennesima avventura militare in Medio Oriente.
Al tempo stesso, però, Obama può sfruttare la situazione per ribadire alcune sue posizioni in politica estera rivelatesi in questi anni estremamente popolari. In particolare, l’idea che non si va in guerra se non si sa esattamente come stanno le cose sul terreno.
La recente conferenza stampa sull’argomento è piuttosto indicativa, a tale proposito. Obama ha affermato: “Quando prendo decisioni sulla sicurezza nazionale dell’America e la possibilità di intraprendere ulteriori azioni in risposta all’uso di armi chimiche, devo essere sicuro di conoscere i fatti.”
E ancora: “Se finiamo per affrettare i giudizi senza prove concrete ed effettive, possiamo ritrovarci nella situazione di non riuscire a mobilitare la comunità internazionale perché supporti ciò che facciamo.”
Si tratta, in sostanza, delle stesse critiche che Obama ha sempre rivolto alla guerra in Iraq. Niente avventure improvvisate, intraprese en solitaire e senza un appropriato lavoro di intelligence. Quello che il Presidente sta ribadendo agli americani, in altre parole, è “io non sono George W. Bush.”