Se potessi viaggiare nel tempo, andrei al concerto di Freddy Mercury a Wembley e vorrei conoscere Ernst Lubitsch.
Billy Wilder raccontava che al suo funerale portò in spalla la bara e uscendo dal cimitero disse a William Wyler: “Ma che tristezza non vedere più Lubitsch”. E l’altro subito rispose: “Peggio ancora non vedere più i film di Lubitsch”.
Poi toccò a me parlare e allora dissi: “Peggio del peggio è non poter vedere più i film di Lubitsch sul grande schermo”.
Mi sbagliavo. A smentirmi è arrivata la Teodora Film che ha appena riportato in sala To Be or Not To Be (Vogliamo Vivere! era il titolo con cui venne distribuito in Italia), restaurato e rimasterizzato.
Così mi precipito al cinema, spettacolo pomeridiano. Età media della sala: sessantacinque anni. Però me ne accorgo solo alla fine della proiezione, quando si accendono le luci. La cosa mi fa riflettere. Non tanto perchè mi domandi “e i trentenni dove sono?”, ma perchè durante il film tutti ridevano come ragazzini.
Le due ore scappano via in quella volata di battute che anticipano battute ancora più belle e in quegli equivoci che sono solo una minuscola parte di tutti gli equivoci di cui il film è carico. Lo chiamavano “Lubitsch Touch”, il tocco di Lubitsch, e, come diceva Peter Bogdanovich, nessuno ce l’aveva tranne Lubitsch. Come il diabolico si nascondeva nei dettagli e si muoveva di continuo: lieve e rapidissimo. Impossibile acciuffarlo e farlo proprio.
Potrei raccontare la trama del film, disegnarla, ma non riuscirei comunque a spiegare il meraviglioso ordine algebrico alla base di To Be or Not To Be. Un’equazione che in ogni passaggio ride e si fa beffa di Hitler, dell’ottusa piaggeria dei nazisti e della volgarità della guerra, con le armi più invincibili di cui ogni popolo dovrebbe dotarsi: l’arte e l’ironia.
Grazie a questi strumenti una compagnia teatrale di Varsavia, impegnata ad allestire lo spettacolo “Gestapo”, e ancora in scena con le repliche dell’“Amleto” (il titolo si deve a questo), reagisce all’occupazione tedesca e protegge la Resistenza dalla minaccia di una spia nazista. I ruoli si scambiamo, si confondono in un susseguirsi di curve pericolose, ma con una divisa, la riga da una parte e un paio di baffetti finti si possono fare miracoli…
Il film è del 1942. In quell’anno se avevi il Lubitsch Touch potevi già ridere di Hitler.
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Ludovica Sanfelice, insieme a Giacomo Cannelli, gestisce drittoeroveshow.it, blog di cinema, televisione e paradossi della società dello spettacolo.
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