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La Tunisia in fermento

L'uccisione di Mohamed Brahmi ha aumentato le tensioni nel Paese

Di Laura Aguzzi
Pubblicato il 26 Lug. 2013 alle 06:55 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:08

È il suono delle sirene spiegate a squarciare oggi pomeriggio la calma apparente in cui da mesi è piombata la Tunisia, come in un sonno da cui e meglio non svegliarsi. Poi si aggiungono le grida della moglie e delle figlie di Mohamed Brahmi, politico all’opposizione con il Movimento Popolare, membro dell’assemblea costituente e voce critica nei confronti del governo di Ennahda, freddato questa mattina attorno all’ora di pranzo proprio di fronte alla propria casa. Il Ramadan non ha fermato i suoi killer, così come non fermerà le migliaia di manifestanti già pronti a riversarsi sulle strade.

Gannushi assassino” gridano i manifestanti di fronte all’ospedale: dispersi dalla polizia, si sono di nuovo ritrovati di fronte al Ministero dell’Interno, circondato dal filo spinato, come tutte le ambasciate, e le sinagoghe, fin dai giorni della rivoluzione.

Dopo l’omicidio di Chokri Belaid quello di oggi è il secondo omicidio politico dall’inizio del 2013. Dietro entrambi sembra celarsi la mano dei salafiti, tanto gli omicidi si assomigliano anche nella modalità di esecuzione: colpi sparati in corsa da uno scooter. Oggi sono stati undici, mirati e senza scampo. Sparati a sangue freddo proprio nel giorno della Festa della Repubblica.

Una repubblica ancora incerta, e che cerca oggi la propria strada per uscire dall’incertezza del post-rivoluzione e da un’economia che stenta a riprendere i ritmi di crescita di cui il Paese ha enormemente bisogno. Il Movimento Popolare, il partito di cui faceva parte Brahmi e di cui era anche stato dirigente, ha chiesto oggi le dimissioni del governo di Marzouki e la creazione di un governo di unità nazionale. Nelle strade in molti parlano di una nuova rivoluzione in arrivo.

Sidi Bouzid, la cittadina del sud da cui partì due anni fa la primavera araba, è già in fermento: Brahmi era nato qui, i manifestanti pieni di rabbia hanno preso di mira e incendiato la sede locale di Ennhada, il partito islamico al potere. Anche il movimento dei Tamarod tunisini, già galvanizzato dagli eventi egiziani potrebbe trovare nuova linfa da questi avvenimenti. Ma qui non c’è un esercito pronto a dare il colpo di grazia al nuovo regime. E la reazione del governo e della piazza sarà fondamentale per capire come potrà evolvere il Paese nei prossimi mesi.

Certo è che rispetto alla rivoluzione di due anni fa è forte l’insoddisfazione: “si stava meglio prima” è una frase che riecheggia ovunque per le strade, dai tassisti ai venditori nei negozi, fino ai ragazzi nei caffè. L’immondizia si accumula a ogni angolo della strada, il Paese non ha ancora una costituzione. E nelle sacche di anarchia si rafforza il radicalismo islamico.

Le ambulanze di oggi non sono le uniche a riempire le strade con le loro sirene spiegate: il sabato mattina ci sono anche quelle dei salafiti. Due, tre camionette corrono sulla strada principale della città ogni settimana: a sinistra la bandiera del partito, a destra quella della Palestina. Corrono e gridano la loro lotta al mondo. Un venditore ambulante le guarda. Allahu Akhbar, risponde al grido tra sé e sé, tra la paura e la speranza. Poi riprende a vendere i suoi occhiali di contrabbando. È la Tunisia di oggi, un Paese moderno sospeso tra le incertezze e l’estremismo.

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