Spiare è donna, almeno in America. Dopo Julia Pierson, primo capo del Secret Service al femminile, nel maschilista mondo dello spionaggio a stelle e strisce cade un’altra barriera. Il Washington Post rivela che il nuovo direttore del Clandestine Service, segretissima branca della Cia, è una donna. Con qualche scheletro nell’armadio.
Il mondo della difesa e della sicurezza americana vive una congiunzione astrale favorevole all’universo femminile. A inizio marzo, a capo della prestigiosa Accademia dell’Aeronautica è stata nominata Michelle Johnson, prima donna ad ascendere a tanto rango.
Un altro termometro della crescente integrazione è la cultura pop: le due star che in tempi non sospetti tingeva di rosa l’intelligence statunitense. Donna è la protagonista della caccia a Bin Laden in Zero Dark Thirty (dove l’affascinante Jessica Chastain interpreta un’ufficiale della Cia realmente esistente). E donna è Carrie, pilastro della serie tv Homeland (con il volto della bionda Claire Danes).
Arrivare sin qui senza dirvi il nome della nuova direttrice del Clandestine Service sarebbe una plateale infrazione di una sacra regola del giornalismo. Colpa nostra, però, non è. L’identità della donna è segreta, come tutte quelle degli agenti della Cia impiegati nello spionaggio. Di lei arrivano stralci di curriculum: sulla cinquantina, da vent’anni a Langley, capo stazione a Mosca e Londra, un passaggio al Counterterrorism Center.
E ora il Clandestine Service, la sezione che gestisce le missioni di spionaggio all’estero. E che guida le operazioni con i droni, i velivoli senza piloti diventati arma d’elezione di Obama nella guerra ad al-Qa’ida.
Tutti contenti per il piccolo grande passo verso la parità tra i sessi nello spionaggio? Calma un attimo. L’entusiasmo non contagia il nuovo direttore della Cia, John Brennan, che sembra voler prendere la questione con i guanti di seta. Non per misoginia, per carità. Piuttosto per le controversie attorno al personaggio.
Intanto, la nomina della donna precede l’arrivo a Langley di Brennan, che ha convocato, anche questa prima volta nella storia, una commissione di tre ex ufficiali della Cia per valutare altre candidature. La donna, infatti, non è stata nominata a capo del Clandestine Service ma è semplicemente subentrata al precedente direttore, ritiratosi dall’attività.
Ben più pregnanti le critiche per il suo coinvolgimento nel programma delle interrogazioni avanzate (tortura, fuor di perifrasi). Secondo il Washington Post, avrebbe fatto distruggere circa 90 registrazioni dei brutali interrogatori finiti nell’occhio del ciclone. I video si riferiscono a una prigione della Thailandia dove la Cia aveva montato una telecamera; nel 2005, la donna e il suo capo, l’allora capo del Clandestine Service Jose Rodriguez, avrebbe chiesto ripetutamente di distruggere le registrazioni, per poi procedere senza autorizzazione.
Il nome della donna spunta anche in diverse delle seimila pagine del rapporto del Congresso sul programma delle interrogazioni avanzate della Cia, almeno secondo quanto affermano alcune fonti interne all’agenzia. Che resti o meno a capo del Clandestine Service, un posto nella storia questa donna se l’è già ritagliato.
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