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La piazza islamista

Rabaa al-Adawya

Di Azzurra Meringolo
Pubblicato il 7 Lug. 2013 alle 09:42

Legittimità, Mursi e martirio. Queste le parole che riassumo gli slogan del popolo raccolto davanti alla moschea di Rabaa al-Adawya. Mentre il centro del Cairo festeggia la spinta con la quale i militari hanno mandato fuori gioco l’islamista Mohammed Mursi, nel distretto di Madinat al-Nasr i fedelissimi dell’ormai ex presidente iniziano la loro guerra di posizione.

Accerchiati dai carri armati delle forze di sicurezza arrivati mercoledì sera, alcuni dichiarano di essere pronti a diventare scudi umani pur di difendere la legittimità elettorale di Mursi. Il popolo che accoglie quanti entrano da via Teheran, l’unica strada non ancora bloccata dai cingolati, indossa una tenuta anti-sommossa e impugna un bastone di legno o di metallo.

Nel cielo sopra la moschea, gli aeroplani militari che controllano le dinamiche degli islamisti più irriducibili si alternano con arei che fanno capovolte tricolori lasciando scie a forme di cuore. È un regalo che l’esercito fa ai suoi cittadini, ma in questo distretto suona come un’offesa. “Vogliono rovesciare un presidente eletto democraticamente, inaccettabile per chi ha fatto la rivoluzione” dice una ragazza che sembra dimenticare che la Fratellanza Musulmana la rivoluzione l’ha solo cavalcata. Quando sentono il rumore degli elicotteri, i sostenitori di Mursi alzano al cielo le suole delle loro scarpe in segno di disprezzo verso i militari golpisti che chiamano traditori.

Le televisioni sulle quali da venerdì seguivano gli avvenimenti in corso sono spente. I militari hanno preso d’assalto i loro canali. Nelle tende ci si tiene informati leggendo l’unica testata egiziana che parla di golpe, quella del loro partito: Libertà e giustizia.

La notizia dell’arresto di importanti membri del loro movimento arriva da un Iphone che ha incorporata una bussola in grado di individuare in ogni istante la posizione della città santa di La Mecca. Ed è in quella direzione che si prostra sheikh Hassan, l’imam della moschea vicinissimo alle posizioni della Fratellanza Musulmana che arriva in strada per guidare una preghiera.

I cingolati parcheggiati non lasciano di fuga. In via Nasr terminano al lato della piramide che l’ex presidente Anwar el-Sadat fece costruire per ricordare i soldati che persero la vita nella guerra del ’73. “Se Sadat –ucciso da una milizia di estremisti islamici (ndr) -fosse ancora qui sarebbe felice di vederci imprigionati” dice stizzito il signore Ahmed, un impiegato con la tipica barba lunga che accusa i militari di essere sionisti alleati con gli Stati Uniti.

Questo post e’ un estratto di un articolo pubblicato su Il Messaggero

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