Quattro personaggi nati e cresciuti nel quadrante nordovest di Londra – quel NW che dà il titolo al libro- un quartiere-universo dove la gentrification tarda ad arrivare e il tempo sembra elastico, oscillante fra la frenesia ambiziosa e la sonnolenza scandita dalla marijuana. Zadie Smith dedica ognuna delle quattro parti del romanzo alla storia di uno dei protagonisti, adottando stili e registri spesso radicalmente diversi.
Il tema centrale, invece, è sempre lo stesso: l’identità – con tutte le divagazioni su razza, cultura e classe che per Smith sono d’obbligo. NW è la storia di quattro persone in conflitto con il proprio Io.
Leah Hanwell, trentenne dai capelli rossi che seguiamo nel primo segmento del romanzo, è tesa nel costante sforzo di esser qualcun altro. Velatamente bisessuale, unica bianca in un ufficio popolato da indiane e caraibiche, finge di assecondare le velleità paterne del marito franco-algerino Michel, ma si imbottisce di anticoncezionali nella speranza di rimanere congelata in un’eterna adolescenza. Leah precipita in una crisi di senso dopo che il suo altruismo naturale viene sfruttato da una truffatrice.
Lo stile lisergico e frastagliato che accompagna Leah lascia il passo a una prosa piana e ironica nella seconda parte di NW. Qui siamo testimoni della giornata apparentemente ordinaria di Felix, ragazzo giamaicano dalla famiglia problematica, che da nordovest si reca al centro per lavoro,visita una vecchia fiamma artistoide e strafatta, e fa ritorno a casa verso un epilogo inaspettato.
La terza e più corposa sezione è dominata dalla migliore amica di Leah: Keisha, che poi sceglierà il più borghese nome di Natalie. Caraibica di nascita, ma bianca upper-middle class per ambizione, si è sforzata di costruire una vita impeccabile, con un prestigioso lavoro da avvocatessa, un marito aitante e case lussuose. Ma dai brevi paragrafi numerati in cui è suddivisa la sua storia , emerge una continua, dolorosa ricerca di un’identità che stride con l’esistenza “in vetrina” offerta al mondo. E, nonostante Keisha-Natalie sia convinta di “esistere per le altre persone” più che per sé stessa, non potrà fare a meno di insozzare la sua apparente perfezione con passatempi degradanti.
L’ultima parte è il delirio allucinato di un tossicodipendente, Nathan Bogle, la cui strada si incrocerà con quelle di Natalie, Leah e Felix, in una conclusione sfumata.
Se nel suo capolavoro d’esordio (“Denti Bianchi”, 2003), la giovanissima Smith si era attenuta – pur con originalità- agli stilemi classici del romanzo anglosassone, qui la volontà di farla finita con i canoni si fa palpabile. Il romanzo è costellato di flussi di coscienza, dialoghi iperrealisti, punteggiatura latitante e perfino un calligramma. Il gioco dello sperimentalismo a tutti i costi è scoperto, ma non si può negare che contribuisca a creare lo spaesamento che è un po’ la nota principale del libro. Ed è difficile non riconoscere che il sobborgo NW, con i suoi personaggi in cerca d’autore legati da rapporti umani fatiscenti (specialmente le figure maschili ne escono a pezzi, mentre qualche speranza si intravede nelle donne) sia la riduzione in scala di un’Inghilterra in transizione, simbolo per eccellenza della metropoli globale popolata da miliardi di isole alla deriva.
di Gian Maria Volpicelli
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