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La linea rossa della libertà

In Tunisia la libertà di espressione è in pericolo. Dopo Amina Sboui, il rapper Weld el 15 è ora sotto processo

Di Clara della Valle
Pubblicato il 26 Giu. 2013 alle 06:33 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:08

“Ho paura di perdere il diritto alla libertà di espressione che abbiamo guadagnato con il sangue dei tunisini due anni fa”, dice Nesrine, mentre a Tunisi si sta svolgendo il secondo appello del processo al giovane rapper tunisino Alaa Eddine Yacoub, alias Weld el 15.

Nesrine, 26 anni, studia Relazioni Internazionali a Tunisi. Solo pochi mesi fa, parlando delle conquiste della rivoluzione del 2011, affermava: “Prima, quando discutevo di politica con i miei amici nei café, mi preoccupavo sempre di chi fosse seduto al tavolo a fianco, di chi ascoltasse, di chi potesse riferire alla polizia. Ora, invece, mi trattengo a lungo”. Era dicembre, ma il vento della “Primavera” sembrava soffiare ancora.

“Oggi sento che molta gente inizia ad avere di nuovo paura di parlare, di esporsi pubblicamente. Ma la libertà di espressione è l’unica cosa che ci è rimasta della rivoluzione. È una linea rossa che non deve essere oltrepassata”.

Nesrine sembra molto preoccupata. Il Festival della musica si è svolta quest’anno in un clima di forte tensione, con i manifestanti pro-Weld el 15 da un lato e i poliziotti dall’altro. Il 13 giugno, il tribunale di Ben Arous (periferia di Tunisi) ha condannato a due anni di prigione senza attenuanti per “oltraggio alla polizia” e “complotto finalizzato alla violenza contro pubblici ufficiali” Weld el 15. Il verdetto del processo d’appello, previsto per ieri, è stato rimandato al 2 luglio.

Il rapper era già stato condannato in contumacia a marzo per aver pubblicato su YouTube la clip “Boulicia Kleb” (“i poliziotti sono dei cani”), in cui ritrae una polizia spietata, che vessa continuamente i cittadini, non molto diversa da quella di Ben Ali. Fiducioso in un’attenuazione della pena, il 13 giugno Weld el 15 si è presentato in aula, insieme ad amici, colleghi e giornalisti. La sua fiducia si è rivelata però infondata: nel giro di pochi minuti il rapper è passato direttamente dal tribunale alla prigione di Mournaghia.

“È un attacco aperto alla libertà di espressione”, esclama Nesrine, “e non è nemmeno il primo”. Nell’ultimo periodo la giustizia tunisina si è data abbastanza da fare. Più che nota a livello internazionale la vicenda di Amina Sboui, la giovane attivista tunisina di Femen, arrestata il 19 maggio scorso. Meno nota, forse, la storia di Ghazi Beji e Jabeur Mejri, accusati di blasfemia a marzo del 2012 e condannati a sette anni e mezzo di reclusione per aver pubblicato delle caricature del profeta Maometto sulla loro pagina Facebook. Dei due, il primo, che era riuscito a scappare in Francia, ha ottenuto l’asilo politico proprio negli scorsi giorni; il secondo, invece, è ancora in carcere, dove subisce spesso violenze da parte degli altri detenuti a causa del suo ateismo dichiarato.

“Come mai”, chiedo a Nesrine, “quest’escalation di processi contro cittadini che esprimono il proprio pensiero, quando nell’ultima bozza costituzionale è sancito, per la prima volta nella storia tunisina, il diritto alla libertà di espressione?”.

“Perché la nostra non è ancora una Costituzione”, risponde, “parliamo ancora di bozza, a due anni dalla rivoluzione. Di contro, poco o nulla è cambiato nei fatti. Manca una reale volontà politica di cambiare le cose in questo Paese, e l’atteggiamento dei giudici ne è la prova. Dopo la caduta di Ben Ali doveva esserci un ricambio all’interno del corpo giudiziario, che non c’è stato, e oggi il governo può utilizzare i giudici a suo piacimento, come mezzo per punire i dissidenti. Il corpo giudiziario non è indipendente”.

“Le parole di Weld el 15 sui poliziotti non sono lontane dalla verità, ‘Boulicia Kleb’: i poliziotti sono dei cani. Ma a differenza dei cani, non sono sinceri. Alla fine della rivoluzione, mi ricordo, sono venuti da noi piangendo e chiedendoci perdono. Ci hanno raccontato che anche loro erano vittime di Ben Ali, che avevano paura di lui. Dopo la sua caduta ci hanno detto che volevano aprire una nuova pagina, che volevano impegnarsi per una riconciliazione. Ma poco dopo hanno ripreso a essere arroganti e violenti”.

Nesrine ha paura della polizia; ma ha paura anche dei giudici. A differenza di Amina, non manifesterebbe mai a seno nudo in piazza, non crede sia questo il mezzo giusto di affermazione della donna. Ma non crede nemmeno giusto che Amina sia in prigione: “Amina, come Weld el 15 e come chiunque altro, ha diritto a esprimere il suo pensiero nel modo che più ritiene opportuno, se si tratta di un modo pacifico. Limitare tale diritto significa riaprire le porte alla dittatura”.

Oltrepassare quella linea rossa, ritornare alla paura.

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