Sarajevo va in fumo ma per fortuna non soffiano venti di guerra. Almeno non stasera. La nazionale bosniaca di calcio, battendo la Lituania in trasferta per uno a zero grazie alla rete del bomber Vedad Ibišević, si è qualificata ai Mondiali del 2014 in Brasile. Per festeggiare i tifosi si sono dati alla pazza gioia, accendendo centinaia di fumogeni, che hanno illuminato l’intera città.
Per un paese le cui istituzioni sono suddivise su base etniche, dall’identità nazionale debolissima e che, come ha raccontato su Limes Enza Roberto Petrillo, con il primo censimento post accordi di Dayton, sta ancora facendo i conti con gli effetti della pulizia etnica, la nazionale di calcio rappresenta uno dei pochissimi simboli nazionali unificanti. Forse l’unico.
La prima partita della nazionale, del resto, si era giocata a soli nove giorni di distanza da quegli accordi di Dayton, che avevano messo fine al più sanguinoso conflitto europeo dopo la seconda guerra mondiale. Oggi la generazione d’oro dei vari Džeko, Pjanić e Lulić ha compiuto un’impresa il cui valore valore, per un Paese che vent’anni fa veniva lacerato da una drammatica guerra civile, va evidentemente ben oltre lo sport.
Nel 1998, la gloriosa cavalcata della nazionale croata a Francia ’98, permise al neonato Paese di farsi conoscere in tutto il mondo. Considerando che in Bosnia il Museo Nazionale è ancora chiuso perché non si riesce a trovare una sintesi che definisca un’identita bosniaca non declinata in “bosgnacca”, “serba” o “croata”, il 15 ottobre del 2013 potrebbe addirittura passare alla storia come il momento in cui è veramente cominciato il processo di costruzione della nazione bosniaca.
Probabilmente siamo troppo ottimisti; il caso dell’Iraq vincitore della Coppa d’Asia nel 2007 insegna. Il calcio (e lo sport in generale) è un coagulante fantastico che permette di superare molte barriere, ma, passata l’euforia, i problemi quotidiani rimangono. I festeggiamenti in tutto il Paese, persino a Banja Luka, autentica enclave serba anti-bosgnacca, sono però un segnale forte: forse un’identità bosniaca sovra-etnica è possible… fosse anche soltanto per Novanta minuti.
Rettifica: Al momento la notizia dei festeggiamenti a Banja Luka apparsa su uno dei principali quotidiani italiani non sembra trovare riscontro nei giornali locali o dalle persone sul posto. Il che rende le conclusioni di gran lunga meno ottimistiche. Tuttavia appare comprovato che persino in Republika Srpska si sono registrate forme più contenute e private di festeggiamenti il che conferma come questa nazionale di calcio (non il calcio) sia probabilmente uno dei pochissimi simboli nazionali unificanti.