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Infanzia (s)perduta

Virginia e Leah: due storie raccontano la condizione sociale dei minori in Kenya

Di Ernesto Clausi
Pubblicato il 18 Giu. 2013 alle 14:12
Lavori domestici e abusi sessuali

Virginia ha diciannove anni. Per più di dieci ha fatto le pulizie a casa del nonno. E ha subito i suoi abusi sessuali, in silenzio. Un’abitudine quotidiana, ripetuta meccanicamente.

Sono molte le ragazze che in Kenya abbandonano gli studi e si danno ai lavori domestici. Tra i dieci e i tredici anni si trasferiscono dalle aree rurali nei centri urbani per trovare lavoro. E sognare una vita in città.

Virginia no. In campagna c’è rimasta, non ha mai avuto scelta, sottomessa e traumatizzata. Lavoro e sesso sotto costrizione sin da quando era una bambina.

Ora aspetta un figlio dal nonno e il suo calvario sembra essere finito. Vive con la madre che paradossalmente sarà anche la sorella di sua figlia. Una storia da famiglia Forrester di Beautiful, ma questa atroce telenovela è reale.

Gli elders – gli anziani del villaggio che in certe comunità hanno più autorità e carisma delle istituzioni – hanno sconfessato e condannato pubblicamente il nonno (può essere peggio che finire in galera). L’uomo è stato obbligato, grazie all’intervento di un missionario italiano, a mantenere la ragazza e sua figlia senza potersi più avvicinare a loro.

Ma il trauma di Virginia, come quello di tante altre ragazze, resta. Impaurita e silenziosa, i suoi occhi parlano e raccontano la sua storia e quella di tante altre ragazze e ragazzi, costretti non solo a lavorare, ma anche a subire violenze sessuali. Negli ultimi cinque mesi, secondo il Women’s Empowerment Link e il Gender Based Violence Prevention and Response Working Groups, soltanto a Nairobi sono stati denunciati cinquantasette casi.

Studenti di giorno, venditori ambulanti di notte

Leah vuole diventare un avvocato. Ha solo quattordici anni, ma la vita la costringe a lavorare di notte. Vende arachidi per strada, con un gruppo di altri otto bambini. Tra questi c’è chi ha solo sei anni. Michael Njenga, reporter di Citizen television li ha incontrati (qui il video).

Leah il giorno va a scuola e la notte lavora. L’unico modo per garantirsi almeno un pasto al giorno.

Francisca Anyango, preside della Morrison Primary School, ricorda come questa condizione sia comune a tanti alunni e bambini del Kenya e ostacoli un corretto processo formativo. “A volte” dice “sono gli stessi genitori o parenti a mettere i bimbi su un strada”. 

In Kenya ci sono quasi due milioni di bambini lavoratori, un’altissima percentuale. La maggior parte sono impiegati nel settore agricolo e fanno i lavori più disparati, sono impiegati nelle coltivazioni di miraa (pianta/droga legale nel Paese) o di zucchero oppure sono pastori o venditori ambulanti. A Busia, al confine con l’Uganda, un bambino su due di età compresa tra i cinque e i diciassette anni lavora, secondo il Kenya National Bureau of Statistics. Spesso per trasportare merci da un confine all’altro. Con il rischio di subire arresti e maltrattamenti dalle forze di polizia.

Bassi stipendi, massacranti turni di lavoro, abusi sessuali. Questa condizione è strettamente legata alla povertà. E si intreccia con lo status di donna in Africa: sono tantissime le ragazze madri senza marito o compagno costrette a lavorare sin da piccole.

Il dodici giugno si è celebrato il World Day against Child Labour, promosso dalle Nazioni Unite. Nel mondo I bambini lavoratori sono duecentoventi milioni. A Naivasha, nella Rift Valley, lo slogan è stato “No to child labour in domestic work”.

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