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Il voto polacco cambia l’Europa

Con la vittoria del conservatore Duda, finisce l'approccio filo-Ue dell'oriente europeo

Di Livio Ricciardelli
Pubblicato il 24 Mag. 2015 alle 23:35

Questa è la storia di un successo. Quello di una forza
politica, Diritto e giustizia (PiS), che per cinque anni ha dovuto fare a meno
della stanza dei bottoni. Senza mai mollare, fino a raggiungere l’elezione di
un proprio rappresentante, Andrzej Duda, alla presidenza della Repubblica.

Dopo la sorprendente vittoria dei Fratelli Kaczynski alle
presidenziali ed alle politiche del 2005, che fagocitò l’esperienza dei
socialdemocratici e del presidente Kwasniewski, il sistema politico polacco si è
contraddistinto per l’esistenza di due formazioni politiche principali: il
centrodestra popolare e filo-europeista e il centrodestra conservatore euroscettico
e filo-americano (ergo, anti-russo). Piattaforma Civica vs  Diritto e giustizia, appunto.

La vittoria del civico Donald Tusk alle elezioni politiche
del 2007 ha favorito un percorso in cui Varsavia si è ritrovata a diventare tra
i primi sei più paesi più rilevanti dell’Unione Europea dopo anni in cui il
paese si piazzava ultimo sul fronte della competitività economica dell’Unione. La vittoria di un proprio rappresentante (Komorosky) alle presidenziali del 2010 dopo il disastro aereo di Smolensk, sembrava il suggello di un nuovo corso.

Varsavia come faro europeista nell’est Europa, king-maker dei paesi non
ancora pronti per l’ingresso nella moneta unica. Al tempo stesso, una grande
soddisfazione per tutti quei fautori (in primis Romano Prodi) dell’allargamento
dell’Unione ad oriente, fino ai confini russi.

Un sentimento ed un pionierismo polacco che spinse le
autorità comunitarie a scegliere proprio Tusk come presidente del consiglio
europeo, nell’agosto 2014. Il miglior politico, del miglior partito, del
miglior paese dell’Europa orientale.

La sconfitta col 47 per cento del presidente Komorowsky al
ballottaggio presidenziale di oggi ci apre gli occhi verso una realtà già nota ai
più: il mite europeismo polacco animato dall’enfasi dello sviluppo e della
crescita economica non è l’ordinarietà nell’ex Cortina di Ferro. Ma l’eccezione.

Il segno distintivo di un’Europa che ha sempre visto l’ingresso
nell’Alleanza Atlantica, e non quello nell’Ue, come suggello definitivo della
fine della subalternità al padrone sovietico. A Budapest e dintorni può
capitare che il 1999 sia più importante del 2004.

Un approccio intergovernativo a scapito di quello
prettamente federale dei padri fondatori. Un’unione economica e di libero
mercato secondo i propositi di Churchill e dei suoi nipoti. Che non a caso
fanno fronte comune con l’Europa dell’est sull’Agenda Europea per i Migranti.

Duda si farà sentire. E rischia di influenzare il dibattito
politico nazionale in vista delle elezioni politiche polacche. Lì, in quell’occasione,
ci si giocherà il tutto per tutto. Piattaforma Civica rischia. E probabilmente
capiremo che non è stata un’ottima idea dirottare Sikorski alla presidenza
della Sejm, e non a quella del governo.

Ma soprattutto si capirà se è possibile una visione europea
anche ad est. Oppure se quegli stessi ex presidenti della Commissione Europea,
scettici nei confronti di un ingresso turco nell’Ue, hanno del tutto
sottovalutato la peculiarità della parte orientale del continente.

Da stasera prepariamoci a una Polonia più anti-russa. Ma soprattutto
prepariamoci a un’Europa più intergovernativa.

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