Come è sempre stato fino al 2011, oggi e domani gli egiziani andranno a votare conoscendo già il risultato del voto. In pochi però temono che brogli importanti trasformino il referendum nel vecchio circo elettorale. Sono pronti a scommetterci anche gli analisti internazionali. Il voto sarà trasparente e almeno il 70 percento degli elettori approverà quella Costituzione frutto della transizione iniziata lo scorso luglio, dopo la deposizione, per mano militare, del presidente islamista Mohammed Mursi. Chi si oppone a questa Carta ritenendola il risultato di un regime controrivoluzionario e illegittimo se ne starà a casa.
Il nostro racconto in diretta su Radio3Mondo.
La Fratellanza Musulmana – da dicembre confinata nuovamente alla clandestinità dalle autorità ad interim – capeggia infatti il fronte del boicottaggio. Anche tra le fila degli islamisti ci sono però quelli, più radicali, pronti ad appoggiare il nuovo testo. Basta pensare alla Da’wa Salafiyya, l’organizzazione sociale salafita il cui braccio politico, Al-Nour, si è schierato con il fronte de sì.
Se sull’approvazione della Costituzione non ci sono dubbi, sull’affluenza alle urne non si sente tranquillissimo neanche il generale Abdel Fattah al Sisi, l’uomo a capo delle forze armate che ha invitato gli egiziani a impressionare il mondo con una partecipazione di massa che legittimi, una volta per tutte, l’intervento militare del 3 luglio.
Per cercare di esaudire i desideri dell’uomo che viene percepito come il nuovo Nasser – grazie anche a una serie di fotografie che immortalano un presunto Sisi bambino mentre stringe la mano al vecchio presidente – si sono mobilitati i vertici dei mezzi di comunicazione statali e privati. Le antenne dei canali islamisti sono state staccate e mentre le strade sono tappezzate da cartelloni pubblicitari a sostegno del sì, sulle televisioni si susseguono pubblicità nazionaliste che invitano gli egiziani ad approvare la Costituzione che “legittima la rivoluzione del 30 giugno 2013 e porta al termine quella del 25 gennaio” 2011.
L’ultimo spot dura dodici minuti e riprende gli egiziani “più semplici” mentre spiegano perché andranno ad approvare la nuova Carta. “L’ha girato la nostra Leni Riefenstahl” scherza Georges, un giovane ricercatore egiziano che ricorda la regista tedesca celebre per i suoi film che esaltavano il regime nazista. Quella di Georges è una voce stonata e minoritaria, condivisa però da Masr al-Qawiya, il partito che guida il fronte del no e che ha deciso di interrompere la sua campagna a seguito dell’ennesimo arresto, domenica sera, di alcuni dei suoi attivisti.
Anche camminando per Imbaba, il quartiere cairota roccaforte degli islamisti, si trova chi è pronto ad approvare la Costituzione. Se anche qui si trovano cartelloni del generale, “Sisi può dormire sonni tranquilli” dice una donna completamente velata. E del sonno di Sisi si è già disquisito. A dicembre, la stampa ha rivelato i dettagli di un’intervista nel corso della quale il generale avrebbe spiegato che l’ex presidente Anwar Sadat gli sarebbe apparso in sogno, annunciandogli che sarebbe stato il suo successore. Sisi non ha né smentito né confermato queste voci. Quattro giorni fa ha però rotto il ghiaccio, dicendo che “se il popolo lo vorrà e le forze armate lo permetteranno mi presenterò alle elezioni” presidenziali che si terranno dopo l’approvazione della Costituzione. L’opzione di una bocciatura del testo non è presa in considerazione. Nessuno, nelle file del governo, ha indicato il sentiero che il paese seguirebbe qualora il testo non fosse approvato.
Come accadde nel 2011 e nel 2012, il referendum non è un esame alla Costituzione, ma un test per le autorità che la presentano. A mostrarlo anche il titolo del quotidiano Sawat al Umma: “Il sì alla Costituzione è un sì a Sisi.” Non sorprende quindi che il 59 percento degli egiziani, come dice un sondaggio, non hanno letto il testo che andranno ad approvare. Pochi quindi sono consapevoli che la nuova Carta rafforzerà il potere dei generali, approvando anche i tribunali militari. Gli egiziani, spaventati dal vortice del settarismo che minaccia il paese, si mostrano uniti contro quella che i media definiscono “la lotta al terrorismo islamista”, sperando che torni la stabilità e si riduca la miseria. Agli occhi della maggioranza dei cittadini, l’unico uomo in grado di assicurare tutto questo è, per ora, Sisi, probabilmente l’unico candidato alle prossime presidenziali.
Neanche un plebiscito renderebbe però più facile la missione del generale che promette di stabilizzare il paese attraverso un processo politico che esclude l’attore politico che ha vinto tutte le elezioni del post Mubarak. A conoscere i rischi di questo processo sono in primis i generali. Sperando che la bolla Sisi non scoppi in fretta, i generali continuano a reprimere gli oppositori e allertano i loro uomini davanti ai seggi. Oggi e domani i militari sperano di contenere le reazioni – più o meno violente – di coloro che ritengono questo processo un golpe. L’immagine da trasmettere ai giornalisti internazionali arrivati a seguire l’evento è quella – come dice un uomo in alta uniforme – “di una grande festa che mette la parola fine all’incubo islamista.” Per garantire il quieto svolgimento dei festeggiamenti, più di 170mila soldati sono arrivati davanti ai 30mila seggi.
Questo articolo è stato pubblicato su Reset.it
Leggi l'articolo originale su TPI.it