L’aria condizionata degli uffici è un muro di ghiaccio ad ogni loro ingresso, eppure piacevole.
Il caldo torrido ha però ceduto il passo a temperature meno impegnative, in questi giorni. Si respira. Ancora sabbia.
La sabbia è ovunque, a Khartum. Ti entra nelle narici, ti asciuga gli occhi, ti secca la pelle. Potresti anche dare un sapore alla sabbia, forse.
I quotidiani in inglese non raccontano un granché dei nuovi scontri sulla linea di confine in Sud Sudan, e nelle periferie del Paese. Solo online, ne fanno eco i principali collettori di notizie indipendenti e gli uffici stampa delle ONG, tante sigle, spesso niente di più, accanto a quelle più note.
Ogni anno, milioni di dollari e euro attraversano il Paese, mentre si consuma il dramma di milioni di persone fuori da questa città, vittime di uno scontro armato e a mezzo stampa tra il pugno di Khartum e gli schiaffi dei ribelli.
Forse, per la sua mistica dimensione, il ballo di conciliazione e preghiera dei Sufi, ogni Venerdì al tramonto, è un rifugio offerto ai pochi turisti (khawajas) e ai locali, i più, composti nelle jellabiya, a veder loro danzare al centro del cerchio umano che si forma nei pressi dello Hamid an-Nil Cemetery.
La base ritmica segna il tempo ai piedi dei Sufi, che li sbattono mentre si avvolgono su se stessi senza perdere l’equilibrio, come accadrebbe a me, certamente, fino a cadere in trance.
Il colore verde o bianco o rosso delle loro vesti, i tantissimi pendagli, corde, stracci e copricapi (immas) colorati, e gli stessi tamburi sui quali si incide la musica, riccamente colorati con splendide geometrie verdi, arancioni, bianche e rosse, e il tramonto sempre più vicino, rendono il tutto molto suggestivo. Il sufismo viene tollerato come folklore qui a Khartoum e nelle aree limitrofe, come a Um Dawan Ban.
Non una semplice attrazione, tuttavia, la danza dei Sufi nasce e resta una pratica religiosa, le cui origini si perdono nel tempo, ai primi giorni dell’Islam. Danzano e cantano i 99 nomi di Allah.
Leggi l'articolo originale su TPI.it