L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak non doveva essere processato per la morte di 846 manifestanti durante la rivolta anti-governativa del 2011 che portò alle sue dimissioni.
Questo è quanto ha appena stabilito il giudice della Corte d’Assise del Cairo sul caso dell’86enne Mubarak, destreggiandosi come un mago in un linguaggio burocratese che gli ha permesso di annunciare che l’ex dittatore, per trent’anni al potere, non sarà né assolto né condannato.
C’è dell’altro: la giustizia egiziana ha anche assolto il faraone e i suoi due figli, Alaa e Gamal, dalle accuse di corruzione e e arricchimento illecito, in relazione alla presunta vendita di greggio a Israele a un prezzo inferiore a quello di mercato.
Di più: sono stati assolti anche l’ex ministro dell’Interno di Mubarak, Habib al-Adly, e i suoi sei fedelissimi assistenti sotto processo. Anche loro, secondo il tribunale, non avrebbero niente a che fare con la morte dei manifestanti della rivoluzione del 2011, quelle centinaia di ragazzi che ho visto morire sotto gli spari e le cariche della polizia.
“Finalmente il verdetto ha provato che non ho commesso reati. Me l’aspettavo, avevo fiducia in Dio e nella mia innocenza: non ho mai dato l’ordine di uccidere i manifestanti. Assolutamente no”. Lo ha detto l’ex dittatore al telefono con la tv semi-governativa Saba al-Balad, dalla sua stanza d’ospedale.
Ora resta un quesito: se nè il presidente – nè il suo cerchio magico – hanno dato ordine alla polizia di aprire fuoco sui manifestanti, chi lo ha fatto al loro posto? Arriveranno a dire che questi ragazzi (ora considerati “terroristi”) si sono suicidati?
Pensando a quanto avviene non solo in Egitto, ma anche negli Stati Uniti o nelle carceri e tribunali italiani, mi chiedo quanta fiducia riporre nella giustizia, che spesso sembra perdere i suoi valori annebbiati dai tecnicismi. Speriamo sia solo un periodo.
Intanto, oggi alcune centinaia di persone stanno manifestando alle porte di piazza Tahrir al Cairo, chiusa dalle forze dell’ordine dopo la sentenza, scandendo slogan come “abbasso i militari” e “morte a Mubarak”.
La coalizione pro-Morsi e quella dei giovani Fratelli musulmani hanno lanciato un appello a raggiungere in strada “i rivoluzionari e le famiglie dei martiri” della rivolta del 2011.
Leggi l'articolo originale su TPI.it