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Here is New York

Memorie del Village e di un taxi a Park Slope

Di Carlos D'Ercole
Pubblicato il 21 Gen. 2013 alle 15:32 Aggiornato il 27 Nov. 2018 alle 11:17

Here is New York

“In the 1970s in New York everyone slept till noon”.

Uno degli incipit più belli degli ultimi anni è di Edmund White che in City Boy racconta come si viveva senza un dollaro da aspiranti scrittori (per di più gay) nella New York degli anni 60-70.

Una cosa mi ha colpito di queste sue memorie letterarie: che tutta la sua vita in quegli anni si svolgeva sotto a 14th Street. Anche la mia New York è sempre stata downtown ora che ci penso.

In un rapido flashback mi tornano in mente tutte le giornate vissute nell’East Village: il caffè da Veniero’s, la pizza da Stromboli, le cena da Max e al Bagatto, film dimenticabili al Two Boots Pioneer e riscoperte di Peter Bogdanovich agli Anthology Film Archives, la birra da Zum Schneider nelle rare volte in cui ci si avventurava fino ad Avenue C.

È tanto che non metto piedi nell’East Village: troppo sporco, rumoroso, o semplicemente a 30 anni si diventa più intolleranti. Capita di conoscere a fondo un quartiere e poi di abbandonarlo per sempre: Jeff Koons mi ha confessato che lui nell’East Village manca dalla fine degli anni 70 quando si trasferì a New York da Chicago, spinto da una canzone di Patti Smith sentita alla radio.

Il Greenwich Village non sarà più quello “beat” di una volta, ma ha contribuito alla mia crescita di cinephile: al Film Forum ho visto “Elevator to the Gallows” di Louis Malle con la colonna sonora di Miles Davis e “Network” di Sidney Lumet, all’IFC Center “Grey Gardens” dei fratelli Albert e David Maysles, al Quad Cinema “I’m Your Man” sulla vita di Leonard Cohen, al Cinema Village “Blame it on Fidel” di Julie Gavras.

Ho trascorso un’intera estate a Brooklyn. E ho avuto la sensazione che sia come una donna con cui fai l’amore mentre pensi a un’altra (Manhattan). Che sia Fort Greene o Brooklyn Heights, Carroll Gardens o Brighton Beach, Cobble Hill o Prospect Park, tutto è così lento che non vedi l’ora di ributtarti sulla F line che ti riporta nel Lower East Side. L’ultima volta a Park Slope ci ho messo 45 minuti a trovare un taxi. Mi sono ripromesso di non tornarci mai più.

Ognuno ama New York a suo modo, ma esistono tre tipologie di newyorchesi come ci ha insegnato E.B.White: “There is first the New York of the man or woman who was born here, who takes the city for granted. Second, there is the New York of the commuter. Third, there is the New York of the person who was born somewhere else and came to New York in quest of something. Of these three trembling cities the greatest is the last, the city of final destination, the city that is a goal”.

Inutile dire per chi facciamo il tifo.

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