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Nasce in Europa il Green New Deal, i fondatori a TPI: “Vogliamo fare una rivoluzione ambientale”

Fonte: Green New Deal for Europe.

TPI ha parlato con gli uomini e le donne che stanno lavorando per un piano di riforme rivoluzionario: un'Europa a zero emissioni di gas serra che crei milioni di nuovi posti di lavoro - senza alzare le tasse.

Di Viola Stefanello
Pubblicato il 29 Ago. 2019 alle 11:40 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:04

Oltre oceano se ne discute ormai da mesi. Ora, il Green New Deal su cui ha messo la faccia la giovane deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez arriva in Europa. O meglio, ci torna.

Se, infatti, questo imponente piano di riforme economiche e sociali ha fatto parlare di sé in America, di Green New Deal si parla, tra gli esperti, almeno dal 2008, quando nel Regno Unito un gruppo di ricercatori, professori ed esperti di ambiente, economia, finanza e sviluppo sostenibile pubblicò per la prima volta un report che delineava una serie di risposte politiche per rispondere allo stesso tempo alla crisi climatica e a quella finanziaria.

Il nome del report, A Green New Deal, si rifaceva direttamente al celeberrimo New Deal con il quale il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt aveva risollevato il proprio Paese dalla Grande Depressione, la disastrosa crisi economica e finanziaria che aveva travolto gli Stati Uniti a partire dal 1929, soprattutto grazie a dei massicci investimenti pubblici.

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Quasi novant’anni dopo, la crisi non è soltanto economica né soltanto statunitense. Mentre si mormora di una recessione alle porte e si dà per assodato che negli scorsi decenni le disuguaglianze sociali non abbiano fatto che aumentare, ricerca scientifica e manifestanti nelle piazze di mezzo pianeta ricordano una verità a cui è difficile non prestare ascolto: “La nostra casa è in famme”, come ripete spesso la giovane ambientalista Greta Thunberg.

A sostenere che ora più che mai ci sia bisogno di un’azione politica internazionale e coordinata per rispondere insieme alle grandi sfide davanti a cui ci mette il cambiamento climatico sono diversi nomi noti del panorama internazionale: i candidati democratici alle presidenziali statunitensi Elizabeth Warren, Bernie Sanders e Pete Buttigieg, ma anche i premi Nobel per l’economia Paul Krugman e Joseph Stieglitz, l’attivista Naomi Klein, l’ex segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, l’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis e l’opinion leader americano Thomas Friedman.

In Regno Unito, qualcuno tra i Labour parla di una “rivoluzione industriale verde”. In Italia lo si potrebbe chiamare un Rinascimento Verde.

Al loro fianco, sempre più persone che vedono nel Green New Deal una risposta pratica agli allarmi ambientali ed economici che vanno moltiplicandosi. In primo piano, gli attivisti del movimento paneuropeo Democracy in Europe 2025, lanciato da Varoufakis stesso.

L’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Fonte: DiEM25

Che cosa prevede il Green New Deal?

L’idea è quella di “trovare una soluzione pratica ai problemi del cambiamento climatico e della dipendenza dalle fonti fossili su cui la nostra economia è basata”, dice il coordinatore italiano della campagna Green New Deal per l’Europa Lorenzo Ci a TPI.

“Solamente un piano che possa lavorare trasversalmente sul piano economico, politico e sindacale può portarci sulla strada giusta”, spiega Lorenzo. “L’Europa ha la possibilità di dare una risposta alla crisi ecologica dando un esempio che può essere un faro per tutto il mondo”.

Da un punto di vista pratico, questo si tradurrebbe in un investimento annuale del 5 per cento del Pil dell’Unione europea nei campi delle infrastrutture, dell’agricoltura e dell’industria per portare a zero le emissioni continentali di gas serra diminuendo allo stesso tempo le disuguaglianze economiche.

Gli investimenti sarebbero diretti da un’agenzia pubblica trasversale che coinvolga non soltanto le autorità regionali e municipali ma anche assemblee di cittadini che esercitino una nuova forma di democrazia diretta. Dalla transizione industriale verso le energie rinnovabili a un forte aumento degli investimenti alla ricerca, la speranza è quella di creare milioni di nuovi posti di lavoro e rafforzare i servizi pubblici rallentando, allo stesso tempo, la crisi climatica.

“Non è come tutte le altre politiche in materia di clima”, ha affermato parlando con TPI Enrico Caccin, membro del direttivo nazionale di DiEM25. “Si tratta di un grande piano di investimenti verdi per affrontare e risolvere contemporaneamente le crisi politiche, economiche e climatiche per le quali si sono verificate le risposte di piazza dell’ultimo anno”.

“Parliamo di tematiche inscindibili tra di loro – va da sé che anche la soluzione debba essere unica. Può sembrare utopico”, continua,  “ma in realtà è un progetto incredibilmente pragmatico, è strutturato per essere attuato dall’oggi al domani senza dover modificare i trattati. Anche perché non c’è più tempo”.

La proposta non nasce dal nulla. Come spiega il policy coordinator di DiEM2 David Adler, “Le istituzioni europee riconoscono già il problema degli investimenti insufficienti cronici e la sfida di investire in tecnologie e infrastrutture verdi. Stiamo cercando di prendere quella proposta, che riteniamo scadente, espanderla radicalmente e renderla equivalente alla sfida in questione”.

Una nuova campagna europea per il Green New Deal

Uno dei problemi principali che la campagna apartitica a livello europeo The Green New Deal for Europe deve affrontare è senza dubbio la risposta tiepida che le istituzioni europee anno dato a questa nuova serie di proposte. Se infatti la nuova presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha affermato di voler implementare il Green New Deal, gli attivisti temono che le sue proposte non siano sufficientemente radicali e stanno lavorando a un report esaustivo da presentarle alla a fine agosto. Gli attivisti chiedono inoltre ai neoeletti europarlamentari di sostenere il programma.

“Proprio quando la crisi climatica e ambientale richiede una coordinazione internazionale, i governi europei si stanno ritirando. I livelli dell’investimento pubblico sono scesi a piccola: dal 2015, l’investimento pubbico netto nell’eurozona è stato pari a zero. Il Green New Deal può aiutare a cambiare il corso delle cose”, dice Pawel Wargan, coordinatore europeo del movimento che ha abbandonato un lavoro da Senior Advisor per il Ministero del Tesoro del Regno Unito per unirsi alla lotta contro il cambiamento climatico.

Il cambiamento, infatti, non può passare solo dalle stanze del potere, come Pawel stesso ha affermato in un’intervista al World Economic Forum qualche mese fa. Un altro punto centrale sono le realtà locali, spiega allora Eleonora Vasques, membro della campagna italiana del GNDE. “Abbiamo un motto: con la testa a Bruxelles, ma con i piedi nei territori. Questo significa capire la situazione di ogni contesto locale e adattare le proposte contenute nel Green New Deal. Come per esempio proporre un piano di riconversione ecologica dell’Ilva a Taranto o del porto di Livorno.”

Il passo seguente – lo scriveva Varoufakis sul Guardian ad aprile, lo si intuisce dal fatto che in America come in Europa le soluzioni avanzate si somiglino moltissimo – è una consapevolezza globale dell’estensione del problema.

“La vera risposta alla crisi climatica è un Green New Deal Internazionale che permetta di superare la competizione e le politiche di potenza in favore della collaborazione tra nazioni di tutto il mondo che mettano in comune le risorse energetiche rinnovabili che ciascun continente e area del mondo può produrre, dall’eolico al solare”, spiega Michele Fiorillo, filosofo tra le figure di DiEM25 più attive in Italia. “Un enorme piano di investimenti e coordinamento globale che consenta di creare posti di lavoro dignitosi connessi all’economia verde ovunque sulla terra”.

A essersi opposti, deridendo il Green New Deal o attaccandolo direttamente oltreoceano, sono stati diversi uomini politici, repubblicani ma non solo. Se, a Febbraio, Donald Trump ha commentato l’idea con sarcasmo in un tweet, c’è chi ha comparato un piano di riforme economiche e sociali di questa portata a “un genocidio” o al genere di cosa che Stalin avrebbe soltanto potuto sognarsi. A sinistra, c’è invece chi lo critica perché “non sufficientemente rivoluzionario”.

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