Goodbye Beckham
“Il calcio è il più celebre passatempo mondiale, una passione che accomuna miliardi di persone intorno al mondo. Negli Stati Uniti, tuttavia, questo sport arranca dietro al baseball, al football, al basket e all’hockey. Perché l’America rappresenta un’eccezione?”. Dalla fine degli anni Ottanta, a partire dal politologo Andrei Markovits, in molti hanno cercato di spiegare questa grande anomalia della geopolitica sportiva.
Poi nel 1994 arrivarono i Mondiali di calcio, seguiti a ruota dalla rinascita di una lega professionistica: la Major League Soccer (MLS). Una svolta importante, che però non riuscì ad avvicinare più di tanto il pubblico americano a questo sport. Certo, da quel momento la nazionale a stelle e strisce non ha mai mancato un appuntamento con il Mondiale, ma il calcio continuava a restare un fenomeno di nicchia.
In assenza di mischie, punteggi alti e un’attenzione alle statistiche, il calcio era accusato di incapacità nel soddisfare il palato dell’americano (WASP e uomo) medio. Non a caso, agli albori del nuovo secolo veniva ancora considerato con disprezzo, “uno sport per donne e latinos”.
Così venne il giorno destinato a cambiare la storia. Grazie all’introduzione della Designated Player Rule, che ammorbidiva l’impatto del salary cap consentendo ai club di attirare giocatori stranieri di un certo livello, l’11 gennaio 2007 fu annunciato che David Beckham si sarebbe trasferito dal Real Madrid ai Los Angeles Galaxy.
In passato avevano calcato i campi d’oltreoceano campioni del calibro di Pelé, Neeskens, Cruijff, Beckenbauer, Best, Müller e Chinaglia. Alcuni avevano forse più talento del centrocampista inglese, ma nessuno ha potuto offrire al calcio statunitense quella visibilità che solo una star globale come Beckham poteva garantire. Per di più Los Angeles si è dimostrata la location ideale. Dalle passeggiate sul red carpet hollywoodiano alle comparse ai bordi del parquet dei Lakers, senza dimenticare le trasferte nei salotti di Jay Leno e David Letterman, l’ex “red davil” è stato il miglior ambasciatore che il calcio americano potesse desiderare.
I risultati sono tangibili. Dal suo arrivo la MSL ha visto nascere, o rinascere, sette nuove squadre (Toronto FC, San Jose Earthquakes, Seattle Sounders FC,Philadelphia Union, Portland Timbers, Vancouver Whitecaps FC, e Montreal Impact) in un allargamento che ha coinvolto anche il Canada. Dietro la patina dorata di Beckham, comunque, c’è stato anche l’oscuro ma efficace lavoro del commissioner Don Gaber. Oggi solo cinque club giocano in stadi non pensati esclusivamente per il calcio, la media spettatori è salita a circa 18 mila ed è appena stato firmato un buon contratto triennale con la NBC Sport per i diritti televisivi.
Beckham ha fatto da traino: dopo di lui, seppur a fine carriera, sono arrivati Cuauhtémoc Blanco, Juan Pablo Ángel, Guillermo Barros Schelotto, Freddie Ljungberg, Claudio López , Thierry Henry, Torsten Frings,Robbie Keane, Tim Cahill, Marco Di Vaio e Alessandro Nesta. È del tutto condivisibile quindi la scelta del “Guardian”, che ha piazzato la MLS al decimo posto nella classifica dei migliori campionati di calcio.
Dopo 116 partite e 20 reti Beckham è atteso all’ultima sfida oltreoceano. Sabato 1 dicembre i suoi Galaxy affronteranno in casa gli Houston Dynamo nel remake della finale della scorsa stagione. Una vittoria potrebbe regalargli il secondo titolo consecutivo. Poi se ne andrà: Australia, Brasile, Cina, Emirati Arabi, ma anche Francia e Inghilterra sono alla porta. Giocherà ancora qualche anno perché non ha perso la voglia di divertirsi e quando appenderà le scarpette al chiodo per contratto potrà diventare proprietario (a prezzo di saldo) di una squadra della MLS. Grazie a Beckham il calcio americano ha potuto costruire fondamenta solide e ora può guardare con ottimismo al futuro.