Nell’ultimo mese le Guardie Rivoluzionarie iraniane, che controllano sia l’esercito che le forze paramilitari del Paese, hanno intensificato la sorveglianza sui social network e sui blog degli attivisti.
Per questo motivo, l’otto giugno scorso la Corte Suprema Iraniana ha annunciato l’arresto di “alcuni individui” colpevoli di “atti contro la sicurezza nazionale”.
Tra questi ci sono Mahmud Moussavifar e Shayan AkbarPour, due attivisti che gestivano la pagina Facebook “Rahian” e il blog “Rahi”, oggi reso inaccessibile.
Da quando il conservatore moderato Hassan Rouhani è salito al potere nel 2013, si contano almeno 100 arresti di attivisti digitali, nonostante il presidente abbia più volte promesso il loro rilascio.
I detenuti sono costretti a scontare pene lunghissime, e spesso basta la testimonianza delle Guardie Rivoluzionarie per condannarli. Solo nel giugno 2009, dopo la contestata rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, almeno 300 tra giornalisti e attivisti sono stati arrestati arbitrariamente e torturati.
La maggior parte di loro è ancora in carcere. Shahi Savandi Shirazi, arrestata nel 2013 ma rilasciata in seguito, ha raccontato a Reporters Without Borders che in prigione è stata torturata e minacciata di stupro.
Anche una volta tornati in libertà, i giornalisti non possono più esercitare la professione. Con più di 40 milioni di utenti, l’Iran è il Paese mediorientale con più connessioni a Internet.
Rispetto ai tempi di Ahmadinejad, oggi la rete è meno controllata dal governo. Tuttavia, le Guardie Rivoluzionarie amministrano ancora l’enorme business della Compagnia di Telecomunicazioni dell’Iran (TCI), la principale compagnia telefonica del Paese.
Questa si occupa soprattutto dei servizi della rete. Internet ha dato la possibilità a molti blogger iraniani di creare un’informazione indipendente e di cercare di contrastare il governo, ma è anche un canale facile da controllare.
Per questo, le prime vittime del liberticidio condotto dalle Guardie Rivoluzionarie sono gli attivisti digitali. Per esempio, nel dicembre 2013 l’intero staff del sito Narenji sono stati condannati a pene dai 2 agli 11 anni con l’accusa di “collaborare con i media nemici”.
Per ora solo sei di loro hanno ottenuto un rilascio condizionato. Un’altra categoria a rischio sono gli iraniani con una doppia cittadinanza. In molti casi, questi hanno subito delle condanne a molti anni di prigione solo per aver pubblicato su Facebook dei post “scomodi” al governo.
Tra questi c’è Roya Saberi Negad Nobakht, cittadino iraniano e inglese, condannato a 20 anni nel maggio 2014. Ad aprile 2015 la condanna è stata ridotta a 5 anni.
Per Farideh Shahgholi, che ha la doppia cittadinanza iraniana e tedesca, la sentenza è stata di 3 anni. Secondo l’indice 2015 di Reporters Without Borders, l’Iran è al 173esimo posto su 180 Paesi per la libertà di stampa.
Leggi l'articolo originale su TPI.it