La Sala Stampa della Santa Sede ha fatto sapere con un comunicato che “l’incontro di preghiera per la pace, a cui il Santo Padre Francesco ha invitato i Presidenti di Israele, Shimon Peres, e della Palestina, Mahmoud Abbas, avrà luogo il giorno 8 giugno, domenica, nel corso del pomeriggio, in Vaticano“.
Sia per Abu Mazen sia per Shimon Peres quella dell’8 giugno non sarà la prima visita a Papa Francesco in Vaticano. Il leader palestinese ci andò già lo scorso 17 ottobre, mentre Shimon Peres vi si recò il 30 aprile 2013, un mese e mezzo dopo la fumata bianca che segnò la salita di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio.
L’aspetto interessante dell’incontro è che non sarà l’ennesimo tentativo di road map per la pace tra Israele e Palestina ne sarà un summit per tentare mediazioni o nuovi approcci istituzionali: Papa Francesco vuole infatti mantenere il carattere esclusivamente religioso dell’iniziativa.
La novità della formula scelta per l’incontro rende incerta una analisi sui suoi possibili effetti pratici. Già sull’aereo di ritorno dalla Terra Santa il Papa aveva detto che: “Ci riuniremo a pregare, soltanto. E poi, ognuno torna a casa. Ma io credo che la preghiera sia importante e pregare insieme senza fare discussioni di altro tipo, questo aiuta. Sarà un incontro di preghiera: ci sarà un rabbino, ci sarà un islamico e ci sarò io”.
Non è ben chiaro a cosa servirà strategicamente questo incontro di preghiera, così come neanche è chiaro come e cosa si pregherà di preciso, ma già sul Time, Christopher J. Hale, aveva fatto notare che con questa mossa Papa Francesco “potrebbe essere il miglior politico del mondo se si considerano gli sforzi falliti degli Stati Uniti, all’inizio della primavera, per avvicinare le due parti al tavolo e dare inizio a discorsi di pace negoziati. Secondo il giornalista del Time “l’incontro di preghiera voluto da Papa Francesco potrebbe essere il catalizzatore iniziale per ricominciare un dialogo di pace nel medioriente”.
Non sono mancate le voci critiche o per lo meno disilluse come quella di Daniel Levy che ha scritto sul “The New York Times” che l’incontro non avrebbe “significato niente in termini di un quadro globale”. Probabilmente hanno ragione entrambi: se da un punto di vista prettamente strategico non cambierà nulla nel quadro globale della zona è anche vero che con questa manovra a sorpresa il Papa è riuscito a superare una impasse che durava da mesi e che neanche gli sforzi statunitensi erano riusciti a risollevare.