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Finale a sorpresa per Hitler

Studi recenti difendono la tesi secondo cui Hitler sarebbe fuggito in America latina alla fine del secondo conflitto mondiale

Di Elena Prodi
Pubblicato il 27 Gen. 2014 alle 06:53

Nell’ennesimo libro che indaga la scomparsa di Adolf Hitler nel tardo pomeriggio del 30 aprile 1945, la giovane ricercatrice brasiliana di origine ebraica Simoni Renee Guerreiro Dias accredita la tesi della fuga del führer in America latina dove, grazie all’aiuto del Vaticano, avrebbe vissuto in incognito fino al 1984.

La storia ci insegna che il gerarca nazista si tolse la vita nel bunker della Cancelleria di Berlino insieme alla compagna Eva Braun, dopo essersi inflitto un colpo alla tempia con la sua Walther PPK 7.65. La Dias, al contrario, nella sua tesi di dottorato dal titolo “Hitler in Brasile – la sua vita, la sua morte” sostiene che la saga del dittatore, come quella di molti altri ufficiali nazisti, continuò in Sudamerica. Mappa alla mano fornitagli dal Vaticano, l’austriaco si sarebbe rifugiato prima in Argentina all’inconcludente ricerca di un tesoro nascosto dai gesuiti nel XVIII secolo, trascorrendo poi un breve periodo in Paraguay prima di terminare il suo viaggio in un piccolo paese del Brasile, al confine con la Bolivia. Nel villaggio di Nossa Senhora do Livramento, nella regione Mato Grosso, il führer avrebbe vissuto fino all’età di 95 anni insieme alla sua nuova compagna, una donna di colore di nome Cutinga. Hitler, seppellito Adolf Leipzig in seguito al cambio d’identità, era conosciuto dai compaesani come “il vecchio tedesco”.

La tesi dell’autrice poggia però su fragili fondamenta: una foto in bianco e nero che ritrae il presunto dittatore abbracciato alla nuova compagna, referti ospedalieri e alcune testimonianze costituiscono la documentazione che attesta la pubblicazione della giovane ricercatrice, la quale insiste sulla mancanza di una prova organica che certifichi la morte del dittatore a Berlino nel lontano 1945. Cândido Moreira Rodrigues, professore di storia politica e contemporanea dell’università federale del Mato Grosso, contesta l’opera della Dias definendola “deficiente di qualunque rigore scientifico”.

A prescindere dalla veridicità della tesi dell’autrice, l’argomento non è comunque originale: molto inchiostro è già stato versato sulle pagine della storia che raccontano gli ultimi giorni del dittatore e in anni recenti sono affiorate varie teorie cospirazioniste che contribuiscono a rendere più fitto il mistero che avvolge la scomparsa del führer. Abel Basti, stimato giornalista argentino pubblicò nel 2006 il libro “Hitler in Argentina”, seguito quattro anni più tardi da “L’esilio di Hitler”. Nel 2011, anche i britannici Gerrard Williams e Simon Dunstan cercarono di persuadere il mondo della fuga del dittatore nell’opera “The grey wolf: the escape of Adolf Hitler”. Col tempo cresce il numero di chi sostiene che il führer sia volato in Sudamerica imitando l’Ss Adolf Eichmann e Josef Mengele, medico nazista famigerato per i crudeli esperimenti di clonazione umana e di eugenetica e protagonista del famoso romanzo “I ragazzi venuti dal Brasile” scritto nel 1976 dall’autore statunitense Ira Levin.

Per quanto infondata possa sembrare la tesi difesa dalla Dias, l’autrice stessa respinge ogni critica e si dice pronta a viaggiare in Israele alla ricerca di un presunto discendente del dittatore, da lei stessa identificato per sottoporlo a un test del Dna da confrontare successivamente con i resti di Adolf Leipzig, ritrovati nel paese di Nossa Senhora do Livramento.

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