È prematuro capire se la Costituzione egiziana approvata lo scorso gennaio, la seconda dalla caduta di Hosni Mubarak, riuscirà a realizzare le promesse della rivoluzione del 2011. È però già evidente che il nuovo testo è riuscito a rafforzare la posizione di alcune importanti istituzioni che si sono ritagliate un ruolo protetto, ai vertici dell’altalenante sistema politico.
La confusione nella quale si è trovato l’Egitto all’indomani dell’uscita di scena del vecchio dittatore aveva creato alcune opportunità, aprendo le porte a un possibile “nuovo costituzionalismo”. Con un apparato politico in crisi, privo del suo vertice e con i suoi organi – almeno inizialmente – disorientati, i diversi attori politici in campo hanno rapidamente trovato punti comuni su cui basare il nuovo testo: presidenza debole, fine dello stato di emergenza e dei tribunali militari, maggior rigore nel rispetto dei diritti umani e garanzie di trasparenza.
Nonostante il successo ottenuto nel referendum conclusosi nel dicembre 2012, la prima Costituzione del post-Mubarak non è però riuscita a sopportare il peso che gravava sulle sue spalle. L’intervento militare del 3 luglio scorso – arrivato dopo la più grande manifestazione popolare dell’Egitto contemporaneo – ha mostrato che la Costituzione redatta dagli islamisti era solo un documento formale. Dopo aver deposto il primo successore di Mubarak democraticamente eletto – l’islamista Mohamed Morsi – i militari hanno sospeso la Carta che loro stessi avevano contribuito a redigere, nominando i membri della nuova Assemblea Costituente.
Il secondo processo costituzionale, molto più rapido e meno dibattuto – almeno nei contenuti – dai mezzi di comunicazione nazionali, sembra mostrare la sconfitta di quel progetto di nuovo costituzionalismo che era apparso possibile all’inizio del 2011. Replicando vecchie dinamiche, si sono infatti gettate le fondamenta per uno “stato di sicurezza” con un volto democratico.
Basta osservare la vittoria che il nuovo testo del gennaio 2014 consegna ad alcune istituzioni. Grazie alla nuova Costituzione, la polizia e le forze di sicurezza hanno infatti a disposizione una serie di strumenti che permettono loro di essere immuni rispetto all’evoluzione dell’altalenante processo politico. In tal senso, l’articolo 206 stipula che i poliziotti devono essere fedeli al popolo e non ai funzionari statali o agli organismi di controllo. La formula qui utilizzata è simile a quella di cui si sono serviti i militari quando hanno preso il controllo della transizione, sia nel 2011 che nel 2013.
A stravincere sono soprattutto i militari, ai quali viene garantita ancora più autonomia di quella concessa dal testo del 2012. L’esercito appare un’istituzione totalmente autonoma, quasi alla pari del potere legislativo e giudiziario. Non solo il ministro della Difesa è il capo delle forze armate, ma per i primi due mandati presidenziali sarà l’alto comando militare a dire l’ultima parola su questa nomina. Nessun attore politico potrà poi metter bocca sul budget militare.
Inoltre, l’articolo 203 istituisce un Consiglio di difesa nazionale che ha competenza in tutte le questioni legate alla sicurezza del paese, guidato dal presidente ma composto da funzionari militari.
La Costituzione prevede infine il ricorso ai tribunali militari nei confronti di chi danneggia le forze armate e le numerose strutture di proprietà dell’esercito – tra le quali rientrano anche le pompe di benzina.
Secondo Nathan Brown, un esperto del sistema giudiziario egiziano, la magistratura è un’altra istituzione che esce vittoriosa da questo nuovo testo, il quale le assicura completa autonomia su budget e personale. Mentre la maggioranza degli Stati cerca di garantire l’indipendenza del potere giudiziario attraverso accordi istituzionali per poi essere legittimata da un ampio consenso sociale, in Egitto la magistratura sembra aver ancorato la sua indipendenza nella completa autonomia, con una soluzione che presenta dei rischi gravi vista la storia anche recente del paese.
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