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Cosa ci insegna Nancy Reagan

Nella sua vita un cambio di passo importante per tutta la destra repubblicana americana

Di Livio Ricciardelli
Pubblicato il 7 Mar. 2016 alle 15:29

In una fase in sui parla tanto di
partito della nazione (in Italia, ma non solo), è significativo lo
scontro tra candidati (ed a suo modo di “culture” politiche)
all’interno del dibattito pubblico americano.

Primarie “anarchiche” quelle dei
repubblicani. In cui è saltata qualsiasi cabina di regia capace di
fare una cernita, tra l’accettabile e l’inaccettabile.

Ed in cui tre categorie di contendenti
(i big, gli outsider e le vecchie glorie) si sentono autorizzati a
correre per la Casa Bianca.

Quello che per certi versi si è
trovato ad assumere per un importante periodo della storia
statunitense la nomea di “schieramento” della nazione, ora si
trova nel bel mezzo della lotta tra bande. E con un candidato
favorito, Donald Trump, che gran parte del GOP vorrebbe estromettere
dalla competizione.

In uno scenario di questa tipo appare
significativa la scomparsa nella giornata di domenica di Nancy
Reagan, la 40° First Lady della storia americana.

Perché se c’è stato un periodo dello
storia in cui il Partito Repubblicano degli Stati Uniti d’America è
apparso la forza politica egemonica del paese è quello in cui
coesistevano quattro differenti approcci politici all’interno del
partito dell’Elefantino: il conservatorismo, il neo-conservatorismo,
il realismo e l’anarco-capitalismo

Quattro categorie che il professor
Colin Duck definì rispettivamente dei Conservative Nationalists,
Neo-Conservative, Conservative Internationalists e Conservative
Anti-interventionists.

Quattro linee politiche capaci di inglobare
gran parte della maggioranza dei cittadini statunitensi. La valvola
di sfoga rappresentata da quella maggioranza silenziosa che trovò
nell’arrendevolezza della politica estera democratica e nelle
battaglie del “New Rights” di epoca johnsoniana un buon motivo
per sostenere i Repubblicani.

Numerosi gli esempi in proposito:
dall’Associazione “Democratici per Nixon” alle presidenziali del
’72 all’ex Segretario di Stato Usa Condoleeza Rice che dichiarò di
aver lasciato il Partito Democratico nel 1979 in quanto “l’Unione
Sovietica aveva invaso l’Afghanistan”.

Lo scenario ad oggi risulta così
ribaltato da registrare non soltanto una mancanza di sintesi, ed un
mancanza di leadership, all’interno di queste culture politiche del
repubblicanesimo Usa. Ma addirittura un suo superamento politico, con
la presenza di un candidato come Trump capace di andare oltre
qualsiasi cleavage ed appartenenza politica del passato.

Ronald Reagan fu fautore di una vera e
propria rivoluzione all’interno del suo partito. Capace di cogliere
prima di tutti, grazie al supporto di personalità come Barry
Goldwater, quanto la politica assistenzialistica e dirigistica del
New Deal avrebbe un giorno esaurito la sua spinta propulsiva. Un
sentimento diffuso che fu principalmente colto dalla scuola economica
di Chicago e dai pionieristici studi sul monetarismo di professori
come Milton Friedman.

Andando oltre il mero realismo del
passato, Reagan inventò un nuovo ideale. Che negli anni ’80 non si
limitò a plasmare il suo paese. Ma il mondo intero. Cogliendo in
pieno gli umori ed il trend del momento.

L’evoluzione di questo pensiero politico è spesso associata al neo-conservatorismo, quello del
“Progetto per un Nuovo Secolo Americano” dei vari Cheney e Jeb
Bush. Un’evoluzione che però tradisce alcuni ideali del pensiero
reaganiano, come rappresentò plasticamente la figura di Nancy. In
primo luogo nella sua battaglia per le cellule staminali.

Sarebbe troppo facile ricamare sulla
malattia di Reagan e sui suoi problemi di Alzheimer. Resta il fatto
che il 40° Presidente degli Stati Uniti e la sua influente moglie hanno condotto delle battaglie anche in nome della libertà, di una
visione liberale dei diritti civili e di forte ascendenza liberista
(in economica). Aspetti che invece in futuro sono stati assunti in
termini strettamente valoriali dalle amministrazioni repubblicane del
futuro. Quelle delle preghiere prima delle riunioni di gabinetto e
tra i segretari del dipartimento. Quelle della chiusura e del
settarismo, e non dello sviluppo del pensiero.

In questo senso la figura di questa first lady assume un valore quasi antico, o comunque quanto mai lontano dal dibattito politico in corso. In cui alcune battaglie del passato vengono considerate alla stregua di folklore. Di chissà quale attentato alla morale comune.

Ecco perché la figura di Nancy ci
insegna molto. Non solo in termini di leadership, ma anche di una
dinamica del tempo presente. E che ha visto certa destra ripensare
alcuni suoi valori. Stravolgendone però molti altri che erano la stessa base costitutiva.

Gli effetti politici, sono sotto i
ciuffi biondi di tutti noi.

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