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Contro Ebola, più informazione

In Sierra Leone e Liberia, campagne porta e porta e messaggi via radio per arginare il rischio del contagio

Di Action Aid
Pubblicato il 5 Ago. 2014 alle 12:51

Mamie Sherrif è una giovane madre di sei bambini, vive in Sierra Leone, nel villaggio di Mbundorbu, distretto di Bo. A meno di trenta chilometri di distanza dalla sua abitazione, ci sono le regioni orientali di Kenema e Kailahun, dove sta imperversando la più vasta epidemia che si sia mai vista del virus Ebola.

L’emergenza legata alla terribile malattia è esplosa lo scorso dicembre e, stando ai dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono oltre 1.600 i casi di contagio registrati e 880 le vittime, tra Guinea, Liberia e Sierra Leone. L’Ebola è un virus che si trasmette tra gli esseri umani principalmente attraverso il contatto diretto con i fluidi corporei infetti. I sintomi sono simili a quelli di una comune influenza: febbre alta, nausea, vertigini, dolori addominali.

“Sappiamo che l’Ebola è reale” racconta Mamie, “Sappiamo che dobbiamo mantenere pulito il nostro ambiente. Non mangeremo pipistrelli o scimmie (entrambi gli animali sono parte dell’alimentazione del Sierra Leone – ndr), e se qualcuno è malato non lo toccheremo”.

La preoccupazione di Mamie è quella che ha ogni madre per la salute dei propri figli, per questa ragione ha fatto partecipare anche la piccola Iye, di soli sette anni, ad una dimostrazione con altri bambini del villaggio su come utilizzare l’acqua clorata per lavarsi le mani.

Il cloro è, infatti, l’unica sostanza in grado di uccidere il virus. In diversi supermercati i gestori lo mettono a disposizione, invitando i clienti a lavarsi le mani prima di fare la spesa. Questa, come la stretta di mano di pace durante la messa cattolica sostituita da un inchino, o l’eucarestia che il sacerdote da’ nelle mani del fedele e non più in bocca, sono nuove abitudini che le popolazioni colpite dall’ebola stanno lentamente adottando. Nuove abitudini che sembrano piccole conquiste in territori dove le informazioni sanitarie sono scarse e frammentate, e dove, soprattutto, c’è una forte diffidenza nei confronti del Governo.

“Ci sono comunità intere che per la prima volta si trovano a dover affrontare questo virus e molti miti resistono e sono da sfatare per ridurre la trasmissione. Ci sono comunità – spiega Peter Abdulai – che non credono che Ebola sia letale ma lo ritengono una strategia per ridurre la percentuale delle comunità tribali Mende, così che abbiano meno peso politico. Altre comunità credono che il governo abbia vietato il contatto con scimmie e primati non per emergenza sanitaria, ma perché ha messo in atto politiche di conservazione delle specie animali. Solo una corretta informazione può salvare la vita. Per questo, ActionAid sta andando in giro porta a porta, villaggio dopo villaggio, per spiegare i sintomi del virus, i fattori di rischio del contagio e le modalità di prevenzione”.

“Molte persone non si stanno sottoponendo alle cure necessarie perché sono spaventate” spiega Mohamed Sillah, Direttore di ActionAid in Sierra Leone, “Purtroppo non si fidano del sistema sanitario nazionale e molte delle informazioni che ricevono sono in una lingua che non conoscono. Purtroppo sul terreno, il nostro staff riferisce che ci sono molte persone, che pur avendo contratto il virus, non cercano cure e assistenza sanitaria, per paura di essere stigmatizzate o perché non conoscono quanto letale sia Ebola.”

ActionAid sta lavorando con le organizzazioni locali e i volontari per tradurre, nei dialetti locali, sia le raccomandazioni dell’OMS che del governo. L’ONG sta portando avanti, nelle regioni di Kono e Bo, nel sud del paese, una campagna di sensibilizzazione e informazione sulla trasmissione del virus, attraverso la diffusione di flyer, messaggi radio, visite porta a porta e anche rappresentazioni teatrali villaggio dopo villaggio.

Mamie ha sentito parlare per la prima volta di ebola ascoltando radio Kiss FM 104, una stazione i cui speaker, attraverso la rete Activista, sono stati formati da ActionAid. “Prima non sapevamo come riconoscere l’ebola” interviene il marito diMamie. “La nostra famiglia è spaventata”, ammette, “ma adesso siamopreparati”.

In un paese dove in pochi possiedono un televisore ela diffusione deigiornaliarrivaappenafuori dalla capitale, la radio è un potente strumento peraffrontare e sfatare ipregiudizi che circondanola malattia, le cui dimensioni non hanno precedenti in Sierra Leone. Forse la voce che ha sentito Mamie parlare di ebola attraverso le casse del suo piccolo apparecchio era quella di Solomon Joe, speaker di radio Kiss FM 104 e membro della rete Activista. “Dopo la guerra, la genteha capitoche la radioha un ruolo moltoimportantenel veicolare imessaggialla popolazione. I nostrimessaggisono come un vangeloper i nostri ascoltatori”.

Anche lo stesso Solomon, prima degli incontri con ActionAid, non aveva le idee chiare circa la malattia. “Prima della formazione ero unpo’ confuso”, racconta. “Tutti mi dicevano cose diversesull’ebola. Moltiin SierraLeonesi rifiutano del tutto dicredere che l’ebola sia una malattiavera.Se sai comefunziona, non è difficileda evitare.Ma l’ignoranzapuò essere mortale”. Per Solomon la formazione sull’ebola è stata importante non solo per il suo lavoro di sensibilizzazione nelle diverse comunità, ma anche per la sua crescita personale, perché ora ha più fiducia in se stesso. “È stato molto arricchente”, dice.

La chiusura delle frontiere e l’introduzione di sistemi di screening negli aeroporti sono mezzi utili per arginare e circoscrivere l’epidemia, per debellarla è però necessario combatterla alla radice, lì dove è nata. ActionAid lavora al fianco delle comunità per convincere le persone colpite a curarsi e promuove una corretta informazione sulle modalità di trasmissione e prevenzione, perché, prendendo in prestito le parole di Solomon, più volte scandite dai microfoni di radio Kiss FM 104, “l’ebola è reale, ed è pericolosa”.

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