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Chernobyl, il curioso caso dell’esplosione della vita animale nelle zone radioattive

Credit: Ansa
Di Maria Elena Gottarelli
Pubblicato il 18 Giu. 2019 alle 11:50 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:16

Chernobyl, l’esplosione delle specie animali

Chernobyl, la serie prodotta da Sky e HBO e diffusa in Italia da Sky Atlantic, sta spopolando fra il pubblico. Vuoi per il realismo serrato, vuoi per la definizione dei personaggi, o ancora per la varietà dei temi trattati, Chernobyl tiene davvero incollati allo schermo, e gli ascolti in continuo aumento lo dimostrano.

Ieri, lunedì 17 giugno, è andata in onda in Italia la quarta puntata della miniserie ed è stato toccato un tema di cui ancora non si è parlato molto:  il curioso destino degli animali nella catastrofe del 1986.

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Come mostrato nell’ultimo episodio, in seguito all’esplosione della centrale nucleare, l’area di Chernobyl fu rasa al suolo in termini faunistici e tutti gli animali presenti sul territorio vennero sterminati perché suscettibili di avere contratto le radiazioni.

Nell’adattamento cinematografico, l’ingrato compito di ammazzare gli animali di Chernobyl spetta a Bacho, che, seppur sconvolto, guida la sua squadra in un compito che lo ripugna: uccidere o seppellire sotto una colata di cemento ogni essere vivente presente sul territorio.

Con una sola condizione: sparare un colpo secco, non farli soffrire: “Vi ammazzo se li fate soffrire”, tuona Bacho.

Come ricorda il Corriere della Sera, nel maggio del 1986, questi fatti avvennero realmente: gli animali di Chernobyl furono davvero sterminati: quasi nessuno scampò a quella che venne definita una strage inevitabile.

Eppure, oggi Chernobyl è una vera e propria oasi di pace, con una biodiversità sorprendentemente elevata.

Dagli uccelli ai roditori, passando per i pesci e i mammiferi, Chernobyl si è progressivamente ripopolata fino a diventare, 33 anni dopo il disastro, un regno incontaminato in cui la vita animale prolifera di giorno in giorno sempre di più.

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Ma come è possibile?

Se lo chiedeva già dodici anni fa il documentarista neozelandese Peter Hayden, che nel 2007 raggiunse Chernobyl e si meravigliò nel vedere che, malgrado le radiazioni ancora presenti nella zona, il livello di attività faunistica era più elevato che mai.

Hayden realizzò un documentario che si intitola Chernobyl Reclaimed: An Animal Takeover, in cui dimostra che ad essere veramente deleteria per l’ambiente è l’attività umana, con le sue emissioni, i suoi pesticidi, i suoi gas di scarico e i suoi prodotti chimici.

Tolto di mezzo l’uomo, a Chernobyl si è così verificata una seconda esplosione: quella della vita animale. Fra le specie tornate più di recente, troviamo il lupo grigio, fotografato per la prima volta nei pressi di Pripyat nel 2015, ma anche l’aquila di mare coda bianca, il visone americano e la lontra europea.

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Al tempo stesso, come osserva Fabrizio Rondolino sul Corriere della Sera, la specie umana è l’unica incapace sopravvivere nella zona di Chernobyl, in quanto il nostro corpo si ammalerebbe di cancro e la presenza di cellule tumorali impedirebbe la riproduzione.

Non è ancora chiaro come e perché gli animali siano immuni alle radiazioni. Forse, osservano alcuni esperti, in realtà non lo sono, ma vivono troppo poco a lungo per risentirne e per sviluppare la malattia.

Fatto sta che, con l’eccezione di qualche specie di uccello che ha cambiato piumaggio, non sono state riscontrate anomalie genetiche negli animali in seguito al disastro di Chernobyl.

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