La Repubblica Ceca, nell’ambito dei paesi est-europei reduci dalla “Cortina di Ferro”, è sempre stata un caso anomalo. Una vicenda peculiare che sembra contraddistinguere la storia praghese a partire dall’800 quando, proprio in Inghilterra e al tempo stesso in Boemia, sorse quel fenomeno epocale denominato dagli storici “rivoluzione industriale”.
Le elezioni di sabato 26 ottobre hanno determinato un quadro inedito in cui, praticamente per la prima volta della storia, il centrosinistra risulta avere la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari.
E qui sorge un’altra anomalia. Perché il Partito Socialdemocratico ceco è l’unico partito, appartenente al Pse, dell’area est-europea che non discende direttamente dal Partito comunista locale che ha retto le sorti del paese per un quarantennio. Molto spesso il sistema politico dei paesi ex comunisti si divide in due grandi blocchi: la famiglia socialdemocratica è rappresentata dagli ex comunisti (i casi più celebri sono quello magiari e quello polacco, che non a caso ebbero le forme più “autonome” e “nazionali” di comunismo) mentre il fronte anti-comunista, che in realtà ha sempre avuto pochi margini per emergere nel corso della dittatura, è rappresentata dai cosiddetti “civici” che utilizzando questo termine ricoprono lo spazio di centrodestra del sistema politico senza far porre ai propri elettori troppe domande sulla loro mancata condotta “ribelle” nel corso degli anni dittatoriali.
In Cechia questa dinamica si è delineata sempre a metà: i “civici” di centrodestra hanno sempre dominato il sistema politico indicando capi di stato e capi di governo (Havel e Klaus in primis), mentre invece i socialdemocratici per certi versi sono apparsi come dei veri civici, non provenendo da un background comunista. Di rimando invece il “partito delle ciliegie” (ovvero il Partito Comunista di Boemia e Moravia) si rifà in maniera del tutto netta alla vecchia esperienza del passato regime abiurando addirittura la linea di Dubcek e della “Primavera di Praga” e dichiarandosi eredi di Gustav Husak e del protettorato filosovietico che ha retto le sorti del paese dall’agosto del 1968 al 1989.
Nelle elezioni di sabato il quadro è cambiato: i socialdemocratici sono la prima forza del paese con oltre il 20% dei voti. I civici scompaiono sotto il 10% mentre emerge come seconda forza politica un movimento di stampo populista. Il partito comunista, col 14%, arriva terzo.
Obbligata dunque sembra essere la strada verso un governo rosso-rosso retto da socialisti e comunisti. Uno scenario considerato anche “prematuro” a Berlino e che ci delinea una relazione “portoghese” a sinistra: il partito socialista più anticomunista dell’area dovrà rapportarsi col partito comunista più intransigente della zona.
Chi vivrà vedrà.
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